martedì 3 gennaio 2023
Il breve viaggio in cielo rese plasticamente il metodo della riforma silenziosa di Ratzinger e dei rivolgimenti che innescava proprio nel momento in cui si ritirava
Il saluto a Roma di Benedetto XVI, in volo su un elicottero verso Castel Gandolfo

Il saluto a Roma di Benedetto XVI, in volo su un elicottero verso Castel Gandolfo - Ansa

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Niente è diventato più naturale, nella vita di un pontificato, di un volo papale. Almeno da Giovanni Paolo II in poi con i suoi oltre cento pellegrinaggi fuori dall’Italia e la lunga visita pastorale, nel corso degli anni, a città e regioni della sua seconda patria. Aveva iniziato, nel 1964, Paolo VI con lo storico pellegrinaggio in Terra Santa e l’incontro con il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Atenagora. Anche papa Francesco, a cominciare da Rio de Janeiro, per la Giornata mondiale della Gioventù, non ha perso tempo, 4 mesi dopo l’elezione, a salire a bordo di un aereo e a rendere, poi, ordinari i viaggi da un capo all’altro della terra. Ma quel volo, a brevissimo raggio, quasi da una parte all’altra di Roma, compiuto nel tardo pomeriggio di giovedì 28 febbraio 2013, dall’elicottero con a bordo Benedetto XVI, di lì a poco Papa emerito, resta come un salto di secoli nella storia del pontificato.

Alle 20 in punto le due guardie svizzere di servizio al portone delle ville pontificie di Castel Gandolfo deposero le alabarde, mentre veniva ammainata la bandiera bianca e gialla del Vaticano. Nel momento in cui lasciarono il loro posto, chiudendo dall’interno il portone, si concludeva anche il pontificato di papa Ratzinger. Dall’eliporto dei Giardini Vaticani alla residenza estiva dei Papi l’elicottero aveva sorvolato Roma in uno splendido pomeriggio di sole, lasciando, attraverso le riprese della Televisione vaticana, una delle immagini più emozionanti e suggestive del pontificato: un addio sereno e drammatico allo stesso tempo. A Castel Gandolfo, quella sera, papa Benedetto andò a concludere poco meno di otto anni, esattamente 2.864 giorni, di un pontificato di straordinario rilievo nella storia della Chiesa moderna, anche alla luce del suo esito così inatteso e sconvolgente.

Abituata a trattare la storia senza timori reverenziali, la Città Eterna, consapevole del ruolo, s’impose come la perfetta scenografia di un cambio d’epoca, non solo nella Chiesa. Un elicottero con a bordo papa Benedetto XVI diretto a Castel Gandolfo e, guardando in basso, la carta viva della storia di Roma: l’età imperiale, con il Foro, il Colosseo, le testimonianze sparse in tutti i suoi angoli, e lo splendore del Barocco e del Rinascimento a cominciare dall’abbraccio del colonnato di San Pietro, quasi punto di partenza del viaggio. Intorno come un nastro che riluce, la fenditura d’acqua del Tevere che sembra allargarsi di proposito per avvicinarsi il più possibile e poi divincolarsi dal colle Vaticano. Più avanti il cambio di scena dei quartieri della grande periferia, coltivazioni di cemento che lasciano, alla fine, il passo alla campagna romana e al verde dei Castelli, con il lago di Castel Gandolfo a mettere il punto colorato d’azzurro a un viaggio più carico di emozioni che di persone, accompagnato nel tratto finale dai riflessi di uno splendido tramonto. Squarci di autentica e intensa bellezza, ma non solo.

Ogni panorama è come lo sguardo generoso sulle città, viste nel loro insieme ma a distanza di guardia per evitare visioni più dettagliate. Restano fuori campo i mali, vecchi e nuovi, le crepe, gli abbandoni – di uomini e cose – i punti e le aree andate a male: tutte le rughe che segnano gli anni e i secoli e deturpano il volto di una città alla quale la storia può fare sconti solo dall’alto, con il manto del paesaggio steso su rovine che non si vedono, perché annidate negli angoli ad altezza e a miseria d’uomo. Il volo è uno sguardo veloce e poco profondo. Più di ogni altra al mondo, Roma nel suo paesaggio incantevole racchiude come un libro aperto anche la trama, spesso oscura, delle sue vicende.

Quel viaggio in elicottero, attraversando il cuore della sua storia, ne apriva una nuova. Il volo stesso rappresentava il modo del tutto inedito di dare il seguito a una rottura, a un mai prima d’ora che aveva sconvolto il mondo intero. C’era stato, sì, l’annuncio del Papa che lasciava il suo posto, ma ora si vedeva e si compiva l’atto. Come a far valere una sorta di diritto dei tempi nuovi, ecco profilarsi, in quel volo, l’elemento di una spettacolarità non messa in conto, ma alla fine venuta con prepotenza alla ribalta, fino ad evocare il capolavoro mediatico. Messe insieme, quelle sequenze, dall’eliporto nei giardini vaticani, al sorvolo su Roma fino all’atterraggio a Castel Gandolfo, richiamarono il genio dei grandi registi, primo fra tutti Federico Fellini e, per l’assonanza con la scena iniziale – un elicottero che vola su Roma trasportando un’enorme statua del Cristo – addirittura “La dolce vita”, un grande (ma, per la Chiesa del tempo, discutibile) ritratto d’epoca. Spinta fino alla forma estrema di un documento sulla città, la comunicazione entrava tuttavia – è il caso di dire – a vele spiegate in una vicenda dai risvolti tanto ampi da rivoluzionare, uno alla volta, tutti i campi attraversati. Ancora una volta si faceva strada, in qualche modo, il metodo della riforma silenziosa di papa Benedetto; o forse del Papato in sé al quale è difficile non riconoscere, perfino al di là dei diversi protagonisti, una naturale spinta propulsiva.

Chi mai avrebbe immaginato una fine di pontificato così? Un viaggio, non più tuttavia metafora di un trapasso – come era sempre avvenuto per secoli – in campo stavolta la concretezza di un mezzo di trasporto, l’elicottero per gli spostamenti brevi. E una rotta a vista d’occhio, aperta però su un orizzonte mai tanto vasto e mai tanto inesplorato.

Pensare a papa Benedetto a bordo dell’elicottero, e a guida, allo stesso tempo, dei rivolgimenti che il suo atto innescava, a partire proprio dal campo della comunicazione, dilatava ulteriormente la misura di un già diffuso disorientamento. Lui, il fine teologo, sotto tiro e bersagliato senza requie proprio come comunicatore, nonostante la riconosciuta maestria della parola; lui, il grande intellettuale, schivo davanti ai microfoni e impacciato davanti alle folle; a suo agio, quello sì, nelle aule accademiche, eppure costretto a imbattersi con l’incidente e la crisi di Ratisbona-Regensburg, diventato un capitolo a parte nella vasta storia dei fraintendimenti di natura ecclesiale e religiosa e mediatica. Nessun binomio è parso, a un tratto, più improbabile di quello tra papa Ratzinger e la comunicazione. E il confronto, fin troppo richiamato, eppure ineliminabile con il predecessore, Giovanni Paolo II, non faceva che allargare il fossato.

Ma ora ecco quel volo a ribaltare teorie e suggestioni, quasi a riscattare ritardi e incertezze, perfino a cancellare i giorni bui di Vatileaks, vista come la Caporetto dell’intero apparato comunicativo vaticano. Con l’invadenza di un segno distintivo della modernità, quel volo entrava nella storia del pontificato fino a sconvolgerne i tratti. Si plasmava, sotto gli occhi stavolta delle moltitudini – la folla dei fedeli accorsa per l’ultimo saluto, quella con lo sguardo in su per tutta Roma al passaggio dell’elicottero e l’altra, sterminata, davanti ai teleschermi e ai dispositivi del nuovo mondo digitale – un tempo di passaggio della Chiesa, un prima e un dopo di un pontificato che, dal Concilio in poi, aveva gradualmente mutato forma e con l’elezione di Giovanni Paolo II compiuto il passo decisivo verso un tempo nuovo.

In questo tempo nuovo il quadrante della comunicazione occupa ora uno spazio a sé, costruito in proprio, e non più per annessione, secondo la vecchia formula dell’aggregazione un po’ forzata a rimorchio di eventi ritenuti più significativi. Riportare al territorio della comunicazione la grande storia di un gesto di coraggio, è operazione temeraria e anche ingiusta. Ma quel volo, tuttavia, non può essere considerato solo un simbolo, per quanto suggestivo e di grande impatto mediatico. Come concreto era il mezzo di trasporto, altrettanto reale è stato anche il punto di partenza per un nuovo corso di tutta la comunicazione vaticana. Anch’essa, da quel momento, sempre accanto al Papa, ha preso – si può dire – il volo verso un tempo nuovo.

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