sabato 28 maggio 2022
Viene proclamato beato il sacerdote ucciso dai comunisti sull'Appennino emiliano nel 1945. Il rito presieduto da Semeraro. La postulatrice: nella guerra aiutò tutti
Don Luigi Lenzini, ucciso il 21 luglio 1945, nel quadro del professor Pietro Lenzini nella chiesa di Fiumalbo

Don Luigi Lenzini, ucciso il 21 luglio 1945, nel quadro del professor Pietro Lenzini nella chiesa di Fiumalbo - .

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Sacerdote e martire, della fede e della verità. Don Luigi Lenzini, ucciso in odium fidei il 21 luglio 1945 a Crocette di Pavullo, sull’Appennino modenese, oggi sarà proclamato beato nella Messa presieduta alle 16 dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi e delegato pontificio, in piazza Grande a Modena.

In un giorno e in un luogo significativi: il 141° anniversario della nascita del beato – era venuto alla luce il 28 maggio 1881 a Fiumalbo – e la piazza accanto al Duomo dove don Lenzini fu ordinato sacerdote il 19 marzo 1904. E a 77 anni di distanza dal martirio, riconosciuto da papa Francesco il 27 ottobre 2020, dopo un lungo iter influenzato per molti anni «dall’orientamento politico dominante nella zona, coincidente con quello dei presunti colpevoli, che non facilitava una valutazione obiettiva e serena dei fatti», come spiegano la postulatrice Francesca Consolini e il marito Fausto Ruggeri, suo collaboratore.

Don Lenzini fu vittima del clima che si respirava al termine della seconda guerra mondiale, ucciso con la “colpa” di additare il Vangelo come unica regola di vita e per il suo ascendente sulla popolazione, in montagna più vicina alla Chiesa e dunque in contrasto con il progetto anticlericale e antireligioso perseguito dai comunisti.

Il luogo del martirio di don Lenzini: il cippo a Crocette

Il luogo del martirio di don Lenzini: il cippo a Crocette - .

Eppure don Lenzini, nel suo ministero, «si era sempre contraddistinto per la sua vicinanza a tutti e, durante la il conflitto, si era prodigato per aiutare le persone in difficoltà, senza distinzioni di credo religioso o di fede politica, compresi alcuni giovani partigiani della parrocchia tra i quali uno dei suoi futuri assassini», dice la postulatrice. «Il desiderio di avviare la causa per il riconoscimento del suo martirio, perché tale fu subito considerata la sua feroce uccisione nella notte del 21 luglio 1945, sorse immediatamente vivo nella Chiesa locale – prosegue Consolini –. Solo col passare del tempo, quando le passioni e le divergenze ereditate dalle tristi e cruente vicende della guerra civile si andarono componendo e le persone ritenute colpevoli o implicate nell’omicidio scomparvero, si rese la ricostruzione dei fatti sempre più libera da timori, sospetti, parzialità. Per questa ragione non si era parlato pubblicamente della morte di don Lenzini per molti anni, mantenendone viva la memoria con momenti di preghiera e raccolta di materiale a lui relativo in attesa di tempi più propizi».

A dare impulso alla costituzione del Comitato per la beatificazione, nel gennaio 2008, fu il riconoscimento del martirio del seminarista Rolando Rivi, ucciso da partigiani comunisti alle Piane di Monchio il 13 aprile 1945 e beatificato nel 2013.

L’inchiesta diocesana sul don Lenzini si è svolta a Modena dal 18 giugno 2011 al 24 novembre 2012: nel corso di 45 sessioni sono stati sentiti 42 testimoni. La Positio, di oltre 500 pagine, è stata sottoposta al giudizio di nove teologi che, il 27 febbraio 2020, hanno espresso unanime parere favorevole al riconoscimento del martirio. I cardinali e vescovi membri della Congregazione, il 20 ottobre 2020, hanno riconosciuto che il servo di Dio fu ucciso per la sua fedeltà a Cristo e alla Chiesa.

Parere confermato il 27 ottobre 2020 dal Papa con l’autorizzazione a pubblicare il decreto sul martirio di don Lenzini, descritto da Francesco come «presbitero diocesano, pastore secondo il cuore di Cristo, testimone della verità e della giustizia evangelica fino all’effusione del sangue» nella Lettera apostolica firmata lo scorso 27 aprile 2022 che verrà letta oggi durante il rito. La memoria liturgica sarà celebrata il 21 luglio, giorno della sua morte.

Il ricordo dell'arcivescovo Verrucchi

«All’epoca del martirio di don Luigi Lenzini avevo 8 anni; con la famiglia abitavo a Miceno, vicino a Crocette, ed eravamo mezzadri del parroco. Mio padre e i miei fratelli, varie volte, hanno accompagnato don Lenzini con il calesse da una parrocchia all’altra». Giuseppe Verucchi, 84enne arcivescovo emerito di Ravenna-Cervia, originario dei luoghi in cui don Lenzini esercitò il ministero fino all’uccisione, racconta quanto che lo lega alla figura del sacerdote martire. Con una premessa: «Per comprendere meglio gli ultimi suoi giorni, è fondamentale conoscere la situazione storica di quel momento, specialmente nella nostra montagna. Si respirava un clima di odio, rancore, vendette, scontri fra ideologie diverse, giustizia “fai da te”. Ho ancora negli occhi alcuni corpi impiccati a un albero a casa mia. E in paese si parlava degli alberi ai quali sarebbero stati appesi i miei famigliari, perché “amici del prete”».

Verucchi sottolinea quale fosse il ruolo dei sacerdoti come don Lenzini: «Erano animati dall’amore per il Signore. E vivevano una forte dedizione alla gente. Erano “padri” nel senso più pieno della parola. Ma il clima attorno a loro, spesso, era ostile. Specialmente in Emilia Romagna e nel cosiddetto “triangolo della morte”: Modena, Reggio Emilia e Bologna. Nel nostro Appennino il 13 aprile 1945 fu ucciso il beato Rolando Rivi; poi, a guerra conclusa, il 23 maggio don Giuseppe Preci e il 21 luglio don Luigi Lenzini».

A Crocette, in questo ambiante acceso, don Lenzini viveva il suo ministero. «Sempre in mezzo al popolo – dice Verucchi –, tra parrocchia, case, visite agli ammalati, attenzione alla vita delle persone, osteria, partite a carte, un bicchiere di vino in compagnia. Sentiva profondamente le difficoltà del momento ed era preoccupato per le scelte dei suoi parrocchiani. Temeva le conseguenze della guerra, respirava gli odi; voleva aiutare i suoi fedeli a restare saldi nella fede, a non cedere a ideologie atee, materialiste, totalitarie, ed essere gelosi della libertà. Parlava chiaro e forte. A Messa diceva: “Mi hanno imposto di tacere, mi vogliono uccidere, ma il mio dovere lo debbo fare anche a costo della vita!”. Fu prete fino in fondo, testimone e martire. Esempio e dono per tutti».

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