sabato 17 marzo 2012
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​«Intorno al televisore c’eravamo tutti, prigionieri e guardie. E tutti eravamo ugualmente emozionati. Come potevamo non esserlo. Il Papa a Plaza de la Revolución… Era incredibile e, allo stesso tempo, commovente». Lo ricorda perfettamente quel 25 gennaio 1998, Héctor Palacios Ruiz, una delle figure storiche del dissenso cubano. All’epoca era recluso da oltre un anno nel carcere di Combinado del Este, all’Avana, per aver criticato il regime in un’intervista con una tivù tedesca. Tre settimane dopo, sarebbe uscito dalla sua cella grazie a un’amnistia per centinaia di detenuti sollecitata proprio da Giovanni Paolo II. Al di là delle liberazioni, però, il viaggio di papa Wojtyla, primo Pontefice a posare il piede sul suolo cubano,«fu una pietra miliare nella storia dell’isola. Nessun cubano potrà mai dimenticarlo – racconta Palacios –. E lo stesso accadrà ora con Benedetto XVI. Lo aspettiamo a braccia aperte». «Ero una bimba quando venne Giovanni Paolo II: avevo 10 anni. I miei genitori mi portarono a Plaza della Revolución per seguire la Messa, c’era un bagno di folla, eravamo schiacciati gli uni contro gli altri ma contenti. Ricordo che il Papa parlò di perdono, era bello ascoltarlo», dice Anita (il nome è di fantasia), parrucchiera e, ora, piccola imprenditrice – come oltre 350mila cubani – dopo le concessioni al libero mercato fatte l’anno scorso dal governo di Raúl Castro. Quattordici anni fa, però, l’iniziativa privata era tassativamente proibita, salvo poi il prosperare illegale quanto reale di ristoranti improvvisati e bed and breakfast di fortuna. Dal 21 al 25 gennaio 1998, quando Papa Wojtyla compì lo storico viaggio, Cuba usciva a fatica dal «periodo speciale», gli anni di drastica recessione che seguirono la fine dell’Unione Sovietica e dei consistenti aiuti provenienti dall’alleato. Il regime era disposto a qualunque sforzo pur di rompere l’isolamento internazionale. Anche a costo di rivolgersi all’ex nemico: la Chiesa cattolica. Per trent’anni, dal 1962 al 1992, Cuba è stato un Paese «ateo» per Costituzione. Il Natale è stato giorno lavorativo fino al 1997. I credenti erano esclusi dal Partito comunista e, dunque, dagli incarichi pubblici e discriminati. Se non esplicitamente perseguitati.Fu la visita di Giovanni Paolo II a segnare un punto di svolta. Wojtyla, in realtà, colse lo spiraglio di apertura del governo castrista in modo critico. Nei cinque discorsi e nelle tre omelie pronunciate in quei cinque giorni storici, il Pontefice parlò di libertà «che include il riconoscimenti dei diritti umani e giustizia sociale», definì la democrazia «il progetto politico più consono alla natura umana» ma invitò tutti a «percorrere un cammino di riconciliazione, dialogo e accoglienza fraterna». Certo, il Papa criticò l’embargo imposto dagli Usa e denunciò senza mezzi termini gli abusi del capitalismo selvaggio. Il suo messaggio – sintetizzato nella frase «Che Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba» – offrì ai cittadini una prospettiva nuova. Sulla linea tracciata da Wojtyla si è mossa, in questi 14 anni, la Chiesa cubana. Che usa i maggiori spazi disponibili - l’apertura di un nuovo seminario e dei centri culturali, la diffusione delle proprie riviste, oltre al ruolo di mediatrice assunto dal cardinale Jaime Ortega y Alamino nel 2010 per la liberazione dei prigionieri politici - proprio per favorire il dialogo. Per promuovere una cultura di riconciliazione e di responsabilità nella società civile.
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