sabato 16 ottobre 2021
Per l'Italia anche la sfida del cammino nazionale. Il vescovo Brambilla: rinnovare il contatto con la società per dare corpo al Vangelo ascoltando il grido di tutti
Il vescovo Brambilla con la sua gente a Novara

Il vescovo Brambilla con la sua gente a Novara - Stampa diocesana novarese

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«Non partiamo da zero. Serve uno stile nuovo per continuare il cammino». Il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, presidente della Commissione episcopale Cei per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, era stato il “relatore” che all’ultima Assemblea generale dell’episcopato italiano aveva presentato la sfida sinodale che attende ogni comunità. Oggi in ogni diocesi, per volontà di papa Francesco, si ripeterà il gesto compiuto una settimana fa dal Pontefice in Vaticano: l’apertura del processo sinodale del Sinodo dei vescovi. Un itinerario che nella Penisola si intreccerà con il cammino sinodale nazionale iniziato lo scorso maggio. C’è bisogno di una conversione pastorale per «tradurre in italiano il Concilio nel solco dello slancio con cui le Chiese in Italia in questi cinquant’anni hanno cercato di dire il Vangelo nel genio del nostro Paese», spiega Brambilla. E aggiunge: «Di nuovo, di provocatoriamente nuovo, c’è il metodo: fare un Sinodo sulla sinodalità. E per noi in Italia: scrivere gli Orientamenti pastorali con il popolo di Dio, a partire dall’ascolto, dalla ricerca e dalle proposte che ne vengono».

Eccellenza, il Papa ha riformato il Sinodo dei vescovi. Come leggere la scelta di trasformarlo in un movimento “diffuso” che parte dalla «consultazione del popolo di Dio»?

Sinodo “diffuso” o “dal basso”: si può dire in molti modi, ma lo si può fare solo riattivando la buona circolarità tra Vangelo e cultura, tra Chiesa e mondo, tra annuncio e territorio. Il Papa lo ha detto nella Lectio introduttiva di sabato 9 ottobre: se il sottotitolo del Sinodo universale è “Comunione, partecipazione e missione”, comunione e missione sono le due facce dello stesso incontro con il Signore risorto. La comunione fa stare presso di Lui, la missione lo dona al mondo. Ciò che resta da pensare è la partecipazione. Stare presso il Signore e donarlo agli uomini, infatti, chiede di immettere il seme nel terreno, il lievito nella pasta. Il mondo, la cultura, la vita quotidiana delle persone non sono solo uno scenario, un teatro su cui si svolge il dramma del Vangelo, ma è come il terreno e la pasta. Il seme senza terreno rinsecchisce, il lievito senza pasta diventa rancido, e viceversa anche il terreno senza seme diventa steppa arida e torre di Babele, la pasta senza lievito resta massa informe. Fuor di metafora: abbiamo bisogno di rinnovare il contatto con il mondo, la cultura, la gente, per dare corpo al Vangelo oggi. Torniamo ad ascoltare il grido di dolore e la domanda di ripartenza della gente, dei giovani e delle famiglie.

Anche la Chiesa italiana ha avviato il cammino sinodale. Due processi che andranno a braccetto?

Il cammino sinodale delle Chiese in Italia si armonizza facilmente con il Sinodo universale, perché la sua prima “fase narrativa” corrisponde al tempo di consultazione del Sinodo universale. Ascolto, ricerca, proposta sono le tre azioni richieste alle comunità italiane. Uscire dal proprio orticello sicuro per entrare nel campo aperto del mondo, per raccogliere la sfida che il mondo di oggi pone al Vangelo. Per “raccontare” è necessario ascoltare, lasciar esprimere, capire, raccogliere le intuizioni più promettenti, prendere le distanze da ciò ci preoccupa, sognare, proporre, trovare vie nuove. È possibile costruire insieme le scelte essenziali per questo decennio che si apre, ciascuno con i suoi doni, ognuno con i suoi compiti, tentando una coraggiosa opera di semina del Vangelo nel terreno della vita personale, familiare e nello spazio pubblico della società italiana?

Come evitare che la sinodalità sia ridotta a uno slogan?

Il Papa continua a metterci in guardia dal pensare che basti un parlamento cattolico. Senza lo Spirito Santo non si va da nessuna parte. Esso è preghiera, silenzio, liturgia, meditazione e scambio dei doni spirituali. All’Assemblea dei vescovi di maggio ho detto che la virtù della prudenza, che è la capacità di discernimento e lettura sapienziale del tempo, va coniugata con il dono del consiglio, che è l’apertura a leggere e a scegliere “i semi del tempo” ordinandoli al loro destino soprannaturale. Potremo evitare la delusione di una retorica della sinodalità solo se sapremo far incontrare virtù della prudenza e dono del consiglio al crocevia della beatitudine della misericordia. Quanta pazienza, misericordia, lungimiranza, attesa, ma anche coraggio, decisione, creatività, ci vorrà per convergere sull’essenziale di una Chiesa spoglia di molti orpelli ormai desueti, ma ricca del tesoro del Vangelo vissuto.

Il Sinodo dei vescovi unisce sinodalità e missione. Missione è evangelizzazione. Lei ha spiegato che «forse per fare un cristiano ci vuole non meno di una comunità». Come essere annunciatori sinodali?

È meglio in due che uno solo, perché se uno cade, l’altro lo rialza, dice il Qoelet. Occorre che la missione non sia opera di profeti isolati, ma di comunità testimoniali. Si può essere testimoni solo al plurale, anzi in modo corale: una voce stonata fuori dal coro fa più danno anche se si fa sentire in modo forte. Siamo in un tempo di acerrime polarizzazioni: gli estremismi vanno di moda. Il nostro annuncio deve essere “cattolico”: nessuno può pretendere di dire Gesù da solo. Serve la testimonianza di molti, se non di tutti, per dire e donare il mistero inesauribile di Cristo. Chi pensa di farlo da solo perché si crede narcisisticamente il primo, ascolti il Vangelo di questa domenica che dice icasticamente: «Tra voi non è così!».

Come far sì che ogni battezzato possa portare il suo contributo nel cammino ecclesiale?

Autosufficiente, protagonista, pioniere sono parole che pagano lo scotto all’egolatria moderna. Il cristiano è invece un crocevia di relazioni e azioni. Sinodalità significa collocarsi nel «noi ecclesiale»: basta aprire un sito per vedere quanti insegnano alla Chiesa che cosa deve fare. È il nuovo magistero dei blog. Lo stile sinodale invece ha bisogno di artigiani che imparano il mestiere, per diventare «artisti di storie buone e nuove». La Chiesa italiana ricorda una nube di testimoni non solo antichi, ma recenti: don Orione, don Calabria, don Milani, don Benzi, Frassati, Marvelli, Badano, Beretta Molla, Acutis. E poi infiniti altri che hanno fatto brillare la luce del Vangelo nelle infinite facce del poliedro della vita.



DA SAPERE

1. Il Sinodo dei vescovi a fasi

Si apre domenica nelle diocesi di tutto il mondo il processo sinodale del Sinodo dei vescovi sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Domenica scorsa era stato il Papa a compiere un analogo gesto. Con la riforma voluta da Francesco, il Sinodo dei vescovi non si limiterà a essere solo un’assemblea di pastori ma sarà a fasi. La prima fase coinvolgerà le Chiese locali e durerà fino ad aprile: sarà la «consultazione del popolo di Dio». La seconda fase è continentale e recepirà gli spunti emersi dal basso. L’ultima è l’incontro dei vescovi nell’ottobre 2023 in Vaticano.


2. In Italia il cammino sinodale

Nella Chiesa italiana è iniziato a maggio il cammino sinodale nazionale sollecitato dal Papa e messo a punto dalla Cei. Durerà fino al Giubileo del 2025. La prima tappa (2021-22), “dal basso”, si integrerà con la prima fase del processo sinodale del Sinodo dei vescovi e vedrà protagoniste diocesi, parrocchie, associazioni, famiglie religiose. La seconda tappa (2023-24) sarà sapienziale per recepire gli input. L’ultima (2025) avrà il volto di una grande assemblea nazionale.


3. I Sinodi nelle diocesi

Accanto ai cammini sinodali, numerose diocesi in Italia sono impegnate nel Sinodo diocesano. Convocato dal vescovo, raduna preti, consacrati e laici per «prestare aiuto al vescovo in ordine al bene di tutta la comunità diocesana».

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