martedì 19 febbraio 2019
Alla vigilia del summit in Vaticano, riflettere sulla pastorale per le persone omosessuali intercetta uno degli snodi del problema. Abbiamo dato voce a tre teologi esperti del problema
Omosessualità e pedofilia. Spunti per capire
COMMENTA E CONDIVIDI

In un momento in cui il problema degli abusi sessuali da parte di esponenti del clero opprime in modo così pesante la vita e la coscienza della Chiesa, e sollecita papa Francesco a convocare un summit con i presidenti di tutte le Conferenze episcopali, riflettere sull’atteggiamento pastorale nei confronti delle persone omosessuali, va direttamente a uno dei cuori del problema. Si tratta di una riflessione importante per una serie di motivi, ciascuno rilevante per le varie implicazioni a cui rimanda. A cominciare dal rimbalzare del dubbio secondo cui si considera omosessualità e pedofilia comportamenti devianti frutto della stessa radice. Ecco perché distinguere non è solo opportuno. È doveroso per il rispetto della dignità delle persone.

Papa Francesco l’ha espresso con chiarezza, riprendendo i due Sinodi sulla famiglia, in Amoris laetitia: «Ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Al, 250). E al Sinodo sui giovani dello scorso ottobre, il tema è stato riproposto in tutta la sua complessità. Anzi, è stato detto con chiarezza che occorre favorire i cammini di accompagnamento per le persone omosessuali già avviati in alcune diocesi. Non solo, i vescovi hanno ammesso la necessità di un confronto con le diverse “inclinazioni sessuali”.

Nel Documento finale si legge: «Esistono questioni relative al corpo, all’affettività e alla sessualità che hanno bisogno di una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale, da realizzare nelle modalità e ai livelli più convenienti, da quelli locali a quello universale. Tra queste emergono in particolare quelle relative alla differenza e armonia tra identità maschile e femminile e alle inclinazioni sessuali». Approfondire, rielaborare, cercare di capire. Senza questo lavoro di introspezione, che dovrà essere tanto più sereno quanto complesso e imbarazzante, sarà impossibile pensare a come arginare gli episodi di violenza che hanno alla base la spinta di una sessualità patologica. Non basterà isolare e reprimere coloro che, dentro e fuori la Chiesa, si macchiano di questi crimini, se la teologia e la pastorale non si interrogheranno su questi temi. Si tratta di un’urgenza che investe da vicino il grande problema della sessualità, intreccia il rapporto irrisolto tra norma, coscienza e discernimento, tocca la questione di scelte che non possono più essere liquidate come "incidenti di percorso".

C’è il dovere di capire e quindi di interrogarsi e di interrogare chi può fornire spunti utili per approfondire un tema da cui nessuno, tra coloro che amano la Chiesa, può dirsi estraneo. C’è quindi, soprattutto, l’urgenza di andare in profondità nella grande e complessa questione dell’omosessualità. C’è, inoltre, l’esigenza di sgomberare il campo da ogni confusione a proposito del rapporto tra pedofilia, efebofilia e, appunto, omosessualità. Realtà che hanno talvolta punti di contatto ma anche, è bene dirlo subito con chiarezza, enormi ed esplicite divergenze.

In questo sforzo occorre inquadrare in modo finalmente organico e coerente una pastorale per le persone con orientamento omosessuale. Ma sarebbe impossibile farlo se prima non si chiariscono alcune grandi questioni fondo. L’esigenza non nasce da oggi. Dopo Amoris laetitia, la Chiesa in Italia si sta interrogando su come impostare una pastorale specifica perché anche le persone con orientamento omosessuale possano «avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita» (Al 250).

Ci sono stati alcuni incontri preliminari tra vescovi, operatori pastorali ed esperti, sono state stese una serie di indicazioni generali, ci sono alcune comunità (Torino, Civitavecchia, Cremona, Parma) che hanno avviato strutture diocesane per occuparsi stabilmente del tema, molte altre ci stanno pensando, ma in realtà non si sa bene come procedere. Fino a che punto spingere l’accoglienza? Accogliere non comporta il rischio di approvare anche implicitamente uno stile di vita? Quando si parla di dovere della castità cosa si intende? Rispetto, fedeltà e impegno di aiuto reciproco nella relazione o astinenza assoluta?

Problema già complesso all’interno del matrimonio e per le coppie eterosessuali, terribilmente più aggrovigliato quando la coppia stabile, fedele, reciprocamente oblativa, è omosessuale. In questo caso sarebbe scontato intendere la castità come preclusiva di qualsiasi relazione sessuale. «La dottrina parla chiaro», direbbero coloro che usano le norme come pietre da scagliare nella vita delle persone. Già, ma quale norma? In Amoris laetitia – che rimane il più recente documento magisteriale sul tema – dopo aver ricordato l’esigenza della vicinanza pastorale alle persone omosessuali da parte della Chiesa, Francesco non aggiunge alcuna condanna etica, non ricorda il passaggio del Catechismo a proposito del «disordine morale oggettivo», come avevano fatto i precedenti documenti del magistero.

Lo stesso per il Documento finale del Sinodo dei giovani. Una semplice dimenticanza? Difficile pensarlo. Forse potrebbe essere risultato prevalente il desiderio di leggere la questione con un’ottica diversa, di aprire il dibattito, di ascoltare il parere della base, nella convinzione che «non tutte le discussioni dottrinali, morali pastorali devono essere risolte con interventi del magistero». (Al, 3).

Le domande potrebbero continuare a lungo ma le risposte al momento non ci sono, comunque non sono agevoli e, in ogni caso, c’è da dubitare che potranno arrivare tanto presto. Forse perché, a proposito dell’omosessualità e di tutto quanto ruota intorno a questo mondo dalle tante sfaccettature e tutt’altro che univoco – qualcuno sostiene che si dovrebbe parlare di omosessualità al plurale – le idee più ricorrenti sono spesso contraddittorie e confuse. E non solo all’interno della Chiesa. Anche nel mondo scientifico le posizioni sembrano spesso inconciliabili, lontane.

Cosa intendiamo quando parliamo di omosessualità? Non ne conosciamo le cause, le origini, l’evoluzione. Non sappiamo se si tratti di una condizione permanente o fluttuante, come vorrebbero le cosiddette “teorie del gender”. Non sappiamo se si "nasce" omosessuali o si entra in questa condizione per una serie di motivi in cui influenze sociali e dati esistenziali si intrecciano a processi genetici e ormonali.

Tante ipotesi, nessuna certezza. Su questi temi abbiamo avviato nel novembre scorso un’inchiesta a puntate sul nostro mensile "Noi famiglia & vita". Vi proponiamo tre interviste.

La prima intervista è stata dedicata a padre Maurizio Faggioni, medico, teologo e bioeticista. CLICCA QUI

La seconda (dicembre) a don Stefano Guarinelli, psicologo e docente. CLICCA QUI

La terza, in cui parla don Pierdavide Guenzi, docente di teologia morale e presidente dell’Associazione dei moralisti italiani, uscirà domenica ma l’anticipiamo qui, nell’imminenza del dibattito in Vaticano. CLICCA QUI

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI