mercoledì 4 maggio 2016
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«Il vero sacrificio della Messa? È l’omelia». La battuta non è nuova ma non perde di attualità. Anche il Papa, com’è noto, ha richiamato più volte l’attenzione su questo aspetto della liturgia, arrivando ad inserirlo nell’Evangelii gaudium fra le linee guida per una «nuova tappa evangelizzatrice della Chiesa ». Del resto, guardando al nostro Paese vale quanto evidenziava il giornalista di Avvenire Roberto Beretta, in un libro pubblicato anni fa sull’argomento, Da che pulpito... come difendersi dalle prediche: «100.000 prediche ogni domenica in Italia, calcolando una media di quattro Messe in ciascuna delle 25.000 parrocchie dello Stivale, sono un’occasione troppo importante, unica, per mancare il colpo, presentandosi all’appuntamento con le polveri bagnate». La risposta della Cei al problema si intitola “ProgettOmelia” ed è un itinerario di formazione rivolto a sacerdoti e seminaristi per migliorarne, appunto, l’arte omiletica. È partito nel gennaio 2014 in alcune diocesi pilota – Vicenza, Cagliari, Taranto, Torino, Siracusa – con l’idea, una volta testato, di estenderlo al maggior numero di Chiese locali. L’iniziativa è promossa dagli Uffici nazionali liturgico, catechistico e delle comunicazioni sociali e ha fra i responsabili don Paolo Tomatis, docente di liturgia alla Facoltà teologica di Torino e direttore dell’Ufficio liturgico dell’arcidiocesi su- balpina. Superata la prima fase di prova, quindi, nei giorni scorsi si è tenuto a Roma il primo incontro dedicato ai coordinatori diocesani del progetto. Un secondo incontro, rivolto agli altri componenti delle équipe diocesane, si terrà sempre a Roma, sabato 18 giugno, presso la Pontificia Università Gregoriana. E con il nuovo Anno pastorale si comincerà a operare sul territorio. Ma cosa avverrà di preciso? «All’ultimo incontro erano presenti i coordinatori di 40 diocesi – spiega don Tomatis – in ognuna di queste nascerà un piccolo laboratorio fatto da cinque sacerdoti o diaconi e cinque “osservatori” laici e/o religiosi. Questi ultimi seguiranno le omelie dei primi e tra i due gruppi ci sarà un confronto per cinque volte ogni due settimane. L’ultimo incontro avverrà dopo un intervallo di un mese. Gli “osservatori” saranno scelti tra persone con età e profili professionali diversi, uno di loro dovrà comunque avere competenze nel mondo della comunicazione, in modo che il giudizio che i sacerdoti riceveranno e con cui si misureranno sia in un certo senso qualificato. Si tratta di laboratori ristretti perché ci è sembrato il modo migliore per lavorare in modo proficuo. Se l’esperienza sarà ritenuta positiva, la diocesi potrà poi organizzare un secondo e un terzo turno per coinvolgere altri sacerdoti. Fino a rendere il progetto una sorta di istituto permanente di formazione ». Caratteristica del “Progettomelia” è il suo taglio “tecnico”: non si entrerà direttamente nei contenuti, tema delicato e che chiama in causa la coscienza e la profondità del singolo sacerdote – aspetti su cui è tra l’altro difficile intervenire – ma si rimarrà sulla “forma”, sul cercare di migliorare l’efficacia delle omelie dal punto di vista oratorio. «Ai coordinatori abbiamo cercato di spiegare che l’omelia è come una rete calata in mare – dice don Tomatis – per tirarla su serve un gancio, che è quello strumento tecnico che spesso viene trascurato. È l’aspetto comunicativo, senza il quale anche i contenuti, che molti pensano siano gli unici a contare, rischiano di passare poco o non passare affatto». © RIPRODUZIONE RISERVATA Particolare del celebre dipinto di Giovanni De Min 'San Paolo all’Areopago' Si intitola “Progettomelia” l’itinerario di formazione rivolto a sacerdoti e seminaristi per migliorarne la capacità predicatoria
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