martedì 11 ottobre 2022
Il rito domenica scorsa presieduto dal cardinale Semeraro. «Si donò a Dio e per Lui a tutti, credendo sempre nel suo amore». Visse la vita in clausura. Figura di riferimento dentro il monastero
La Messa per la beatificazione di madre Panas a Fabriano

La Messa per la beatificazione di madre Panas a Fabriano - .

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«Il programma della vita di madre Maria Costanza Panas è nell’epigrafe della sua tomba: “Si donò a Dio e per Lui a tutti, credendo sempre nel suo amore”». Così il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, nella celebrazione per la beatificazione della monaca clarissa cappuccina, in un’affollata Cattedrale San Venanzio, a Fabriano. Una grande festa, domenica pomeriggio, per celebrare Agnese Pacifica Panas (il suo nome all’anagrafe), veneta di Alano di Piave (Belluno), vissuta a cavallo fra il 1800 e il 1900, entrata in monastero a Fabriano durante la Prima guerra mondiale. I suoi genitori erano emigrati negli Stati Uniti e l’avevano affidata per alcuni anni a uno zio sacerdote, don Angelo. Agnese si era diplomata maestra a Venezia, nel 1913 e quattro anni dopo era entrata nel monastero delle clarisse cappuccine, nelle Marche, comunità della quale era stata anche eletta badessa.
La sua vita è stata ricordata nella celebrazione alla quale hanno preso parte il cardinal Edoardo Menichelli, emerito di Ancona-Osimo, l’arcivescovo di Fabriano-Camerino, Francesco Massara e l’emerito Giancarlo Vecerrica, con il priore del monastero di San Silvestro, padre Vincenzo Bracci, presenti una cinquantina di religiose cappuccine arrivate da ogni parte del mondo.

Massara ha ricordato «il profumo spirituale che questa suora di clausura emanava, accogliendo le persone che bussavano al monastero, tra i quali anche alcuni sacerdoti, poi diventati suoi figli spirituali». I cappuccini biografi scrivono che suor Pacifica «accoglieva senza mai dare la sensazione di fretta, ascoltava con interesse e consigliava con sicurezza, donando serenità, con una umanità piena». Il cardinal Semeraro ha sottolineato, tra l’altro, la missione della religiosa: «Fare della propria vita un’Eucaristia». L’altare, diceva alle sue monache, è la scuola di tutte le virtù, il luogo dove, insieme con Gesù, si trova Maria, la Madre è l’altra Madre, la Chiesa. L’onore della Chiesa è la santità dei suoi figli, diceva, e aggiungeva, «siate sante per essere vere figlie della Chiesa, per onorarla è amarla. La Chiesa è il grande amore, la tenerezza squisita del cuore del nostro Gesù».

La figura della beata è stata ricordata dal Papa nell’Angelus, per le sue sofferenze offerte per il Concilio Vaticano II, di cui oggi si celebra il 60° dall’apertura.

Di lei san Pio da Pietrelcina diceva: «È una di quelle stelle che brillano nel firmamento della nostra umanità». Un’umanità maturata anche alla luce della malattia, molto grave, che la colpì da piccola. La guarigione, ritenuta miracolosa, avvenne per intercessione della Vergine di Monte Berico, cui la mamma si era rivolta. I biografi raccontano che il contatto con il monastero fabrianese avvenne grazie all’incontro con un sacerdote, don Luigi Fritz, che le fece intuire il progetto di Dio nella sua vita. L’ingresso in comunità non fu accolto bene dalla famiglia, ma nonostante dubbi e tentennamenti, suor Costanza emise i voti l’8 maggio 1919: una donna di carattere, che esercitava un forte ascendente sulle novizie, fino a diventarne maestra, nel 1927. Dieci anni dopo l’elezione a madre badessa, incarico rinnovato sempre, con un solo intervallo di tre anni, fino alla morte, nel 1963.

Nel periodo della Seconda guerra mondiale aveva lasciato Fabriano per sette mesi, per sostenere la comunità del monastero di Ferrara. Anche lì, testimonianze unanimi di come la beata abbia incarnato una «fede viva – come ha sottolineato il cardinal Semeraro – che la spingeva a donarsi con tutto il cuore a Dio… donarsi e credere è stato il suo programma di vita».

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