venerdì 25 marzo 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
I quarant’anni dalla nascita del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) sono una felice occasione per rinnovare consapevolezza dell’intuizione  di una realtà che ha aiutato a costruire il nostro Continente. L’intuizione è quella di chi, subito dopo il Concilio Vaticano II, volle riproporre su scala continentale un’esperienza di collegialità episcopale per accompagnare il processo di integrazione europea, che non poteva ridursi ad un’entità solo politica ed economica. L’istituzione, che ne è seguita, è oggi una realtà di cui fanno parte 33 nazionalità e che ha permesso non solo la collaborazione tra i Vescovi, ma il progressivo rilancio della nuova evangelizzazione. Seguendo il Magistero del Santo Padre Benedetto XVI, che non si stanca di richiamare l’Europa alle sue radici cristiane e alla sua storica missione che è pure di illuminazione culturale, le Chiese che sono in Europa contribuiscono con la fede e la testimonianza a rendere presente l’umanesimo cristiano. Ai nostri giorni, segnati dal relativismo sul piano teoretico e dal consumismo sul piano pratico, la fede cristiana è sfidata a dare ragione della sua plausibilità e della rispondenza alle domande profonde della gente.L’augurio che formulo è che la CCEE possa continuare nel solco tracciato in questi anni per approfondire sempre più il legame tra l’evangelizzazione e la cultura del nostro tempo, e per mostrare che il cristianesimo non è soltanto un dono da preservare ma è anche il compito che ci attende per reinterpretare il mondo in cui viviamo, a partire dall’uomo “creato ad immagine e somiglianza di Dio”. In tal modo si darà piena evidenza a quanto il Concilio Vaticano II ha insegnato: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova piena luce il mistero dell’uomo” (Gaudium et Spes, 22). In tale contesto si pone la Dichiarazione del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, a conclusione dell’ultimo incontro, svoltosi in Croazia: «Siamo convinti che la coscienza umana è capace di aprirsi ai valori presenti nella natura creata e redenta da Dio per mezzo di Gesù Cristo.La Chiesa, consapevole della sua missione di servire l’uomo e la società con l’annuncio di Cristo Salvatore, ricorda le implicazioni antropologiche e sociali che da Lui derivano. Per questa ragione non cessa di affermare i valori fondamentali della vita, del matrimonio fra un uomo e una donna, della famiglia, della libertà religiosa e educativa: valori sui quali si impianta ed è garantito ogni altro valore declinato sul piano sociale e politico» (Assemblea plenaria, Zagabria 3 ottobre 2010). Senza un reale rispetto di questi valori primi che costituiscono l’etica della vita, è illusorio pensare ad un’etica sociale che vorrebbe promuovere l’uomo ma in realtà lo abbandona nei momenti di maggiore fragilità. Ogni altro valore, infatti, necessario al bene della persona e della società – il lavoro, la salute, la casa, l’inclusione sociale, la sicurezza, l’ambiente, la pace… – germoglia e prende linfa dai primi. Mentre staccati dall’accoglienza in radice della vita, potremmo dire della «vita nuda», questi ultimi valori inaridiscono e perdono di senso. Card. Angelo Bagnasco           Arcivescovo di Genova           Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: