«Noi, giovani "rubati" all'Ucraina, vogliamo un futuro libero»

di Agnese Palmucci, Roma
Mark, Vlasova, Olena e altri sono in Italia. Abbiamo raccolto le loro voci all'ambasciata di Kiev nel nostro Paese, dove sono destinatari del progetto "Bring Kids Back". «Tanti bambini e ragazzi sono intrappolati dentro l'occupazione russa, tra prigionia, trasferimenti forzati e centri di "riabilitazione"». Venerdì l'incontro in Vaticano
November 20, 2025
I ragazzi della delegazione di “Bring kids back” durante l’incontro di ieri con la stampa all’ambasciata ucraina in Italia. A sinistra Liudmyla Siryk e Sashko Radchuk
I ragazzi della delegazione di “Bring kids back” durante l’incontro con la stampa all’ambasciata ucraina in Italia. A sinistra Liudmyla Siryk e Sashko Radchuk
Sulla mano destra Mark ha un tatuaggio con un mostro dei cartoni animati che tiene le fauci aperte. Il suo sguardo, però, racconta chiaro dei suoi quattordici anni, quasi tutti vissuti a Torez, nel Donetsk occupato dai russi. «La propaganda nelle scuole dell’Ucraina occupata è molto forte – ha raccontato, tenendo lo sguardo sempre basso, durante la conferenza stampa di ieri presso i locali dell’ambasciata dell’Ucraina in Italia, sul progetto Bring Kids Back (Bkb) sostenuto dalla presidenza di Kiev –. Gli studenti devono imparare l’inno nazionale russo e cantarlo ogni mattina». Mark Razavozov, assieme a sua madre Yulia Dvornychenko, seduta accanto a lui, fa parte della delegazione di ragazzi e familiari di Bkb, iniziativa internazionale che opera per il ritorno in patria dei bambini ucraini trasferiti con la forza in Russia, che in questi giorni fa sosta a Roma per alcuni incontri istituzionali, tra cui quello di venerdì, con papa Leone XIV. «Ci mettono in testa che la Russia sta solo proteggendo noi bambini – ha aggiunto a voce bassa –, e quando ero all’asilo mi avevano fatto credere che il mio Paese, in realtà, si chiamasse Repubblica autonoma del Donetsk». Nel 2022, a 11 anni, Mark ha lasciato i territori occupati per cercare sua madre, detenuta con false accuse, compiendo un viaggio tra Russia ed Europa, fino a ritrovarla, dopo il suo rilascio, a Kiev. Sarebbero fino a 1,6 milioni i bambini come lui sotto il controllo russo.
L’iniziativa Bkb riunisce istituzioni ucraine, società civile e organismi internazionali, tra cui l’Unione europea e 42 Paesi, e lavora per rintracciare i minori sottoposti a propaganda russa nei territori occupati, identificare quelli trasferiti forzatamente nei territori della federazione, e supportarli una volta tornati a casa. Tra i ragazzi seduti sul divano dell’ambasciata, per rispondere alle domande dei giornalisti, anche Marta Hlazkova, di 18 anni, che, come Mark, ha vissuto tutta la sua vita nel Donetsk occupato ed è scappata a Kiev appena maggiorenne. «A scuola ci fanno studiare la storia russa sui loro libri che parlano degli ucraini come dei nazisti – ha spiegato la ragazza, sotto i lunghi capelli neri dalle sfumature viola –. Ci viene insegnato a mettere la Russia davanti a tutto, fino a farci sentire in obbligo di difenderla e servirla». Sarebbero circa 2mila i civili ucraini «ufficialmente» nelle mani dei russi secondo Iryna Verešcuk, vice capo dell’Ufficio del presidente dell’Ucraina, presente ieri all’ambasciata, anche se il numero «è di certo molto più alto». Lo stesso vale per i bambini, infatti neppure di loro si hanno numeri precisi, perché appena vengono localizzati, i russi li spostano in un altro luogo all’interno della federazione e gli cambiano l’identità. «Nonostante ciò – ha aggiunto –, finora siamo riusciti a riportarne a casa circa 1.700». L’appello che la presidenza ucraina vuole lanciare al Papa e alla Santa Sede, in quanto «autorità morale», ha detto ancora Verešcuk, è di diventare ufficialmente un ponte per «stabilire una comunicazione» concreta con la Russia, «in modo da poter discutere del ritorno dei nostri figli, dei civili e dei prigionieri di guerra che sono tenuti in cattività». Il presidente Zelensky «ha inviato al Pontefice una lettera speciale in cui chiede ufficialmente al Vaticano di svolgere la funzione di interlocutore tra l’Ucraina e la Russia per quanto riguarda il loro ritorno». Questo, ha aggiunto Verešcuk, anche per «formalizzare» il ruolo del cardinale Matteo Zuppi, quale mediatore vaticano per il ritorno dei bambini e dei prigionieri di guerra.
Tra i bambini trasferiti con la forza in Russia, anche Veronika Vlasova, di 16 anni, che ha vissuto da sola oltre un anno in un centro di “riabilitazione”, sottoposta a interrogatori pressanti e a esami ginecologici e psichiatrici invasivi. «Non potevo usare il mio telefono e dovevo andare ogni giorno nella scuola russa – racconta cercando di sorridere –. Poi mi raccontavano che l’Ucraina non esisteva più e mi costringevano a scrivere lettere di supporto per i soldati russi al fronte». Anche lei è riuscita a fuggire, e ora vive a Kiev. Dei centri di “filtraggio” ha parlato anche Yulia, la mamma di Mark, spiegando che «chi vuole uscire dai territori occupati deve prima attraversarli» e «dimostrare di non aver nessun rapporto affettivo o di collaborazione con l’Ucraina». Cosa praticamente impossibile per la maggior parte delle persone, ha aggiunto. Davanti a lei il viso gentile e orgoglioso di Olena Yuzvak, medico di Hostomel, rinchiusa in detenzione e torturata dai russi insieme a suo marito e suo figlio, durante l’occupazione della città. «Mio figlio Dmytro è tornato a casa lo scorso ottobre dopo tre anni e mezzo di prigione in Russia – ha raccontato, con indosso una maglia verde con le spighe di grano –. All’improvviso non abbiamo saputo più niente di lui, i russi lo hanno prelevato da casa senza alcun motivo. La nostra non è una famiglia di militari e siamo sempre stati pacifici». Da quando il giovane ha fatto ritorno a casa, però, racconta la madre, «non è più lo stesso», è «in una condizione fisica e psicologica complessa, impaurito per il suo futuro, terrorizzato anche di raccontare ciò che ha subito». Da cattolica, Olena è molto emozionata per l’incontro con il Papa e da lui si aspetta che aiuti l’Ucraina «a riportare indietro i tanti bambini chiusi nelle carceri in Russia». Ora più che mai.

© RIPRODUZIONE RISERVATA