Con i giovani una “casa” condivisa. Per rendere la realtà più ospitale

Visto che i fondamenti culturali e sociali sembrano franare bisogna cercare un appiglio di speranza, per cercare una terra di incontro fra le generazioni, colmando il vuoto che assedia i ragazzi (e non solo loro)
October 28, 2025
Con i giovani una “casa” condivisa.  Per rendere la realtà più ospitale
/ SICILIANI
All’uscita di un liceo: ragazzi vocianti sciamano di corsa dal portone, sempre divisi in piccoli gruppi. Mi avvicino a uno di loro per chiedere a bruciapelo: cosa è per voi la speranza? Silenzio imbarazzato, poi: «La speranza per me è un mondo di pace». Ancora: «Spero solo in me stesso, nel futuro che voglio costruirmi». Di contro una ragazza: «Spero solo che le mie amicizie di ora durino per sempre». Queste poche voci offrono una lieve immagine di quel mondo inquieto e scomposto degli adolescenti ancora piccoli per essere grandi, già grandi per essere piccoli. Eppure bisogna partire da qui, anche se si cammina come su una lastra di ghiaccio quando, intimiditi e impreparati a entrare oltre quella soglia da docenti o da educatori, si rischia una duplice caduta: quella che sprofonda nel conformismo rassegnato di fronte ai mutamenti in atto troppo veloci per fermarli, e l’altra improduttiva che si blocca con ostinazione sui cosiddetti punti fermi, convinta di sanare con un colpo d’ala le crepe che si aprano davanti.
Immaginiamo di avere di fronte un oggetto in movimento: la vita dei giovani, l’impegno educativo della scuola, della famiglia, delle associazioni, che sono questi tipi di oggetto in movimento. Il compito non è quello di imbrigliare queste realtà in modo astratto e innaturale, e neppure quello di costruire una mappa precisa, volta a generare modelli rigidi. Forse occorre cercare di prendere qualche misura per rintracciare una relazione con ciò che accade, quasi un mettere a fuoco quello che è in progressivo e continuo spostamento. Anche se constatiamo con realismo e nostalgia che qualcosa si è rotto nella catena generazionale, non ci serve certo quella cultura del piagnisteo e quella strisciante irresponsabilità educativa che ci rendono inermi e sconsolati.
Se i fondamenti culturali e sociali sembrano franare, bisogna pur ricercare qualche appiglio che sostanzi il nome della speranza, valido a ricercare una terra di incontro fra le generazioni e a individuare punti di reciproco contatto. Si tratta in questo caso di ripensare le radici ultime del nostro essere, là dove si depositano gli spazi delle nostre convinzioni che, talvolta oscurate da difficili prove, si distinguono dalle idee di tipo intellettualistico e culturale, mediante le quali riconosciamo il nostro universo simbolico. Rifarsi alle nostre origini antropologiche non significa certo fare un esercizio anacronistico o nostalgico, ma individuare una base comune all’interno della quale viviamo, ci muoviamo e siamo. Cresce in questo terreno la radice della speranza, quella che ci costituisce donandoci il senso della realtà, che vogliamo sempre più piena e autentica.
Non si tratta dunque di costruire idealmente e razionalmente un nuovo progetto educativo, come talvolta si sente dire, quanto di dare sostanza a ciò che appartiene a tutti noi, quando come esseri umani siamo spinti a uscire da noi stessi, oltrepassando i nostri limiti tramite l’impronta di un altro essere.
In questa direzione la speranza è la via dell’oltre, che insieme ci appartiene ma che dovremmo ricreare ogni volta che riusciamo a staccarci dalla ruvidezza del presente. L’essere umano, al contempo solitario e mancante, ha bisogno di una realtà intera in cui vivere, di una terra in cui crescere e dimorare, di un luogo che sia tanto ospitale da far intravedere dove ancora è possibile andare, senza doversi irrigidire in un presente vuoto e assolutizzato o in un passato assunto in modo sterile.
La speranza non va in tal senso colta come un non essere o come rifugio del desiderio, ma come garanzia di un legame che punta alla relazione con l’altro, senza il quale non può esserci un pieno compimento di sé. Un modo altro per dire che la speranza è una terra di incontro, una casa comune che esige la fatica dell’uscire fuori da sé per guadagnare una più ampia visione. Più disposti ad allungare lo sguardo al di là dei passi lenti, sono i ragazzi a invitarci a rischiare di più senza infingimenti. Non è questo uno dei traguardi del Giubileo, radicato con determinazione sulla speranza? Questo obiettivo sembra assai indicato, quasi privilegiato per i giovani, alla ricerca di colmare il vuoto che li circonda. Seguendo le loro ansie non desiderano essere considerati come un’isola a parte, ma vogliono allargare i loro confini per trovare compagni di strada. Se la speranza li porta al futuro, potrebbe succedere di scoprire in loro i riflessi di una dignità eterna.
Ne fanno fede questi intensi versi di Rainer Maria Rilke: «Ragazzi, non buttate la vostra volontà/ nell’inutile fretta, in tentativi di volo/ Ogni desiderio riposa/ ombra e luce/... Soltanto quello che si fa casa ci lega per sempre».
Paola Ricci Sindoni è docente di Filosofia morale all'Università di Messina

© RIPRODUZIONE RISERVATA