Un don e una donna: a Milano la Caritas ha un volto sinodale
I due nuovi direttori dell’organismo ambrosiano sono don Paolo Selmi, 59 anni, ed Erica Tossani, 44 anni. «Non dobbiamo aver paura di lavorare in rete, di incontrare realtà diverse»

La Caritas Ambrosiana riparte da una inedita direzione condivisa. Un segno concreto di cambiamento in direzione della sinodalità che ha coinvolto il mondo ecclesiale italiano.
Dal lunedì scorso 1 settembre i successori dello storico direttore Luciano Gualzetti, a fine mandato, sono i suoi due vice, un prete delle periferie milanesi e una giovane operatrice sociale che ha alle spalle l’esperienza del Cammino sinodale. E proprio la riforma sinodale è la chiave di lettura della scelta innovativa dell’arcivescovo Mario Delpini di nominare alla direzione dell’organismo pastorale Erica Tossani e don Paolo Selmi.
Ma come si organizzerà la guida dell’organismo della diocesi di Milano, centro di un sistema complesso di fondazioni e cooperative e che con 407 centri di ascolto supporta migliaia di bisognosi? «Siamo in due non solo per dividerci il lavoro, che è tanto, ma per avere sguardi e responsabilità condivise. Per dimostrare che la diversità arricchisce».
Bolognese, 44 anni, Erica Tossani è laureata in Scienze internazionali e diplomatiche, e dopo aver svolto attività di cooperazione si è perfezionata alla Gregoriana. Approdata in Caritas Ambrosiana nel 2020, coordinatrice dell’equipe nazionale di Young Caritas, da tre anni è membro della presidenza del Comitato del Cammino sinodale. È stata nominata vicedirettrice nel settembre 2024. «Non abbiamo ancora deciso gli ambiti, ma la nostra presenza è rafforzata dall’equipe che vuole partecipare», spiega don Paolo Selmi, 59 anni, che resterà presidente della Casa della Carità voluta dal Cardinale Martini e che guida dal 2023, quando fu scelto come successore di don Virginio Colmegna e nominato vicedirettore di Caritas Ambrosiana.
Perché è stata scelta una direzione condivisa, una novità anche in Italia?
«È maturata – afferma Erica Tossani – come primo frutto del cammino sinodale della Chiesa Italiana. Ci rendiamo sempre più conto, come diceva papa Francesco nel 2015, che la sinodalità è ciò che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. È un compito faticoso perché porta la sfida di imparare a camminare insieme nella differenza, però è anche una parola profetica importante per questo tempo e questo mondo. La scommessa è provare a ripensare anche il servizio dell’autorità in modo sinodale, perché sia condiviso e arricchito da una diversità di sguardi, che vengono anche da una differenza di genere, esperienze, di stati di vita, di età». « È una scelta – aggiunge don Paolo – per provare a dar corpo a questo cammino che è una prospettiva verso cui la Chiesa tutta si sta orientando. Abbiamo trovato in Caritas un terreno adatto, attraverso gli operatori contenti di questa esperienza. Poi abbiamo trovato la disponibilità della Chiesa di Milano, nella figura del vicario generale, monsignor Agnesi, che poi si è fatto anche portavoce dell’arcivescovo, a mettersi in gioco. Non sappiamo dove andremo a parare, però sappiamo che c’è un punto di partenza che riguarda la ricchezza delle singole esperienze personali. Ma ci piace rappresentare anche il corpo della Chiesa».
Quali sfide deve affrontare la Caritas a Milano e in diocesi?
«Credo – risponde don Selmi – che sia la sfida di sempre. Le situazioni cambiano e risultano anche più evidenti in una città e in territori che stanno sempre più segnando la differenza tra poveri e ricchi, ma la sfida di sempre rivolta alla Chiesa, ai cristiani e a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, è quella della riscoperta di una fraternità universale. La Caritas in questo contesto, molto più grande delle potenzialità che ha, non può non ribadire il cuore del Vangelo, cioè la riscoperta dell’altro come fratello. Dobbiamo continuare a mettere in gioco il tema del Vangelo della Carità perché non saremo mai risolutori di problemi, ma dobbiamo continuamente innescare umanità, restare umani. Non dobbiamo aver paura di lavorare in rete, di incontrare realtà diverse per mentalità e religione. Anche Caritas, come la Chiesa, dimagrisce di forze, di sostanze. Però è proprio questo il tempo diverso che papa Francesco ci ha sollecitato ad abitare, senza temere la contaminazione». « Aggiungo – prosegue Erica – che la sfida è eminentemente culturale e ci aiuta a tornare al mandato specifico di Caritas, la funzione pedagogica. Perché in una metropoli i bisogni si moltiplicano, le emergenze locali, nazionali e internazionali si susseguono e certamente è nostro dovere il primo soccorso per non lasciare solo nessuno nel momento dell’emergenza. Però proprio la città ci fa meglio comprendere che c’è bisogno di tornare a proporre un umano possibile fondato su una grammatica diversa per suggerire alla politica, alla società, a chi può prendere le decisioni modelli alternativi. Una sfida per i prossimi anni è tornare a preoccuparsi di incidere a livello culturale e politico per costruire umanità e fraternità».
E nelle periferie cosa serve?
«Ci sono periferie ricche di umanità – sottolinea il sacerdote – e di incontri. Il tema è non rinchiudersi. Periferia penso sia anche la solitudine in cui tanti vivono, è l’isolare l’altro nel suo problema, nel suo bisogno. L’insistenza di papa Francesco sulle periferie sottintendeva di smettere di guardarle solo come luoghi da assistere, ma di lasciarsi cambiare. Credo che anche questo sia un compito di Caritas, aiutare tutti a cambiare lo sguardo lasciandoci convertire dal povero».
Che spazio possono avere i giovani in Caritas e nel volontariato?
«Nel volontariato – risponde Erica – mentre è calato il numero complessivo dei volontari, quello dei giovani è in costante aumento. La carità non è in crisi, è ancora attrattiva, è qualcosa da cui i giovani si sentono interpellati e in cui hanno voglia di spendere energie, tempo, risorse, certo con modalità, forme, tempi nuovi. Proprio per la sua natura la Caritas può diventare terreno fertile di sperimentazione per le nuove generazioni».
Come proseguire nell’impegno per la pace?
«Dovremmo tornare a parlare di obiezione di coscienza ai giovani – ragiona don Paolo – per costruire percorsi alternativi alla guerra, alla potenza. E fare da pungolo in questo tempo di assorbimento per risvegliare insieme ad altri. Non è più tempo di fare da soli». « La pace non si improvvisa – conclude Erica – va coltivata una cultura soprattutto rispetto alle nuove generazioni. La guerra non è solo questione di armi, i conflitti hanno radici nelle ingiustizie. Credo che Caritas, denunciandole, dando voce alle disuguaglianze senza cedere all’ideologia, cercando di promuovere una comunità che si fondi su radici differenti, stia già costruendo la pace». © RIPRODUZIONE RISERVATA L’immagine di una mensa che offre pasti a chi ne ha bisogno. Un’attività sostenuta da Caritas / Ansa Milano, don Paolo Selmi ed Erica Tossani alla guida della Caritas
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