«Io, imprenditrice, vi dico: il profitto va usato per il bene comune»

Marina Salamon interviene sul rapporto tra Vangelo ed economia: «Le Scritture non sono un contratto, sbaglia la Teologia della prosperità. Gli attori economici hanno una responsabilità etica»
July 16, 2025
«Io, imprenditrice, vi dico: il profitto va usato per il bene comune»
. | Gerrit Dou, Parabola del tesoro nascosto, 1630
Nei giorni scorsi ero al Festival dell’economia di Trento per un dibattito. Ho ascoltato il cardinale Matteo Zuppi che, in un incontro pubblico sull’economia del bene comune, ha detto: «L’economia ha bisogno dell’etica... dobbiamo farlo perché siamo umani, dobbiamo farlo perché siamo cristiani». Non sono un’economista, non ho le competenze di Stefano Zamagni, Leonardo Becchetti e Luigino Bruni, ma opero nelle imprese e nella finanza, e provo a riflettere su questi temi. Ho fondato la nostra prima azienda oltre quaranta anni fa, e per anni mi sono sentita “corretta”, ma negli ultimi anni mi sono accorta che ciò non è abbastanza.
So bene che il cristianesimo non è riducibile ad una serie di principi etici, ma penso che abbiamo tutti la responsabilità, all’interno della Chiesa e al di fuori di essa, di elaborare e testimoniare, in ambito economico, la possibilità concreta di “fare impresa” e la necessità di utilizzare il denaro per il bene comune, costruendo valore e opportunità di crescita sociale per gli altri, ben al di là dell’accumulazione dei profitti ad uso privato. Il confronto con coloro che non si riconoscono come credenti è, per noi, una grande opportunità: molti, attualmente, si stanno interrogando sulle crescenti ingiustizie sociali, che accompagnano l’eccessiva e crescente concentrazione delle ricchezze.
È ancora più urgente “immaginare oltre il presente”. Siamo in un’epoca in cui, negli Usa, si sta diffondendo l’aberrante teologia della prosperità, (Prosperity Theology), predicata da Paula White, consigliere spirituale di Trump, che sostiene che il benessere finanziario corrisponde alla grazia di Dio, e che la Bibbia narra una sorta di alleanza contrattuale tra Dio e gli uomini, che riceveranno la prosperità (economica) se avranno fede, mentre verranno maledetti attraverso la povertà in caso contrario. Mi dissocio totalmente da questa interpretazione biblica, e credo che il privilegio economico e il potere siano ben identificati, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, con i valori del servizio e della responsabilità, come spiega la parabola dei talenti nel Vangelo di Matteo (Mt 25,14-30).
Riprendo alcune parole di Papa Leone XIV, tratte dalla sua prima omelia: «Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere». La definizione di «altre sicurezze» è illuminante, l’ho ricordata osservando le immagini di “persone famose”, che postavano sé stesse su Instagram a bordo di super yacht, in un luogo simbolo della ricchezza.
Papa Leone XIV, già nella scelta del proprio nome, ha fatto riferimento al suo predecessore Leone XIII e all’enciclica “Rerum novarum” (1891), che si occupò delle questioni sociali ed economiche proponendo la visione della Chiesa cattolica, alternativa sia al socialismo che al capitalismo sfrenato. La condanna delle disuguaglianze sociali era netta, attraverso numerosi riferimenti e citazioni bibliche. Era l’epoca della prima rivoluzione industriale; Leone XIII iniziò così il primo capitolo: «Motivo dell’enciclica: la questione operaia».
La globalizzazione dei mercati, la finanziarizzazione dell’economia e, soprattutto, l’intelligenza artificiale ci hanno già immersi nella terza rivoluzione industriale: temo che questa sia una fase economica dotata di complessità ulteriori, in cui tutte le trasformazioni sono in corso di accelerazione, e sarà molto più difficile diffondere, ovunque nel mondo, una maggiore giustizia sociale, nel rispetto della dignità delle persone e dell’ambiente. Ad esempio, riguardo alla devastazione della terra e della natura, penso che l’Europa e il Nord America continueranno a spostare nei Paesi in via di sviluppo le lavorazioni e le coltivazioni “scomode” o inquinanti, sfruttando e distruggendo l’ambiente in Sud America, Africa e Asia.
Papa Francesco ci ha ricordato, molte volte, che «la crescita economica, se non accompagnata da equità, non può essere definita sviluppo autentico». La misurazione della crescita del pil (prodotto interno lordo) di ogni Paese non potrà più essere l’unico, rassicurante parametro di valutazione dello sviluppo, poiché esso non rappresenta affatto gli squilibri sociali, né la possibilità di accesso universale a migliori condizioni di vita. Ad esempio, nei Paesi in guerra il pil può crescere, in apparenza, a causa dell’economia di guerra, e dello sviluppo delle industrie militari, ma ciò non misura il benessere reale della popolazione. Durante il Festival dell’economia, un gruppo di persone manifestava contro le grandi aziende, contestando il loro essere “parte delle guerre in corso...”.
In una recente intervista, Mauro Magatti ha sintetizzato le questioni etiche del futuro con queste bellissime parole: «Come impedire che l’algoritmo sostituisca la coscienza, che l’efficienza soffochi la compassione? Come sfuggire alla pretesa onnipotenza della tecnica mantenendo aperta la finestra del mistero e la via della fede?». Gli uomini e le donne del Medioevo vivevano un’esistenza molto più dura della nostra, ma, forse, riconoscevano che la loro vita era abitata dalla presenza di Dio, molto più di noi: nella piccola e magnifica Pieve di Romena, nel Casentino (Arezzo) un capitello conserva questa iscrizione: “Tempore famis, 1152”, cioè questa chiesa fu edificata in un tempo di carestia. In cui si continuava a sperare e a costruire.
Ogni volta che papa Francesco ha affermato «questa economia uccide», mi sono sentita provocata a essere migliore, così come ogni volta in cui rileggo la storia del giovane ricco nel Vangelo di Matteo (Mt 19,16-22), che si concludono con «il giovane se ne andò triste, possedeva infatti molte ricchezze». La prima volta in cui avevo letto questi versetti, era stata da giovane scout, in un campo dedicato a san Francesco. La Parola è un grande dono, nelle nostre vite...

© RIPRODUZIONE RISERVATA