Ieri ingegnera edile, oggi clarissa. La storia di suor Marzia Francesca
Oggi la giornata in cui la Chiesa ricorda il contributo unico delle comunità di vita contemplativa e invita e sostenerle. Dietro le grate sono tante le storie "controcorrente"

Oggi, memoria liturgica della Presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio, la Chiesa celebra la Giornata pro orantibus, dedicata alle comunità di vita contemplativa. È un appuntamento voluto da Pio XII nel 1953 per ricordare e sostenere le monache e i monaci di clausura, che ogni giorno offrono la loro preghiera per il mondo e per la Chiesa. Leone XIV, nell’udienza generale di mercoledì, ha invitato a «non far mancare la concreta solidarietà e l’aiuto efficace» a queste sorelle e fratelli, il cui apostolato silenzioso è «insostituibile». La vita contemplativa è «una chiamata a illuminare il mondo», ricorda il Dicastero per gli Istituti di vita consacrata: nella semplicità della clausura queste comunità «raffigurano visibilmente la meta verso cui cammina l’intera Chiesa» (Cor Orans, 159). La giornata è occasione per pregare per loro e per far conoscere il loro servizio nascosto ma vitale. Numerose diocesi propongono momenti di preghiera e incontro. A Cagliari, l’Ufficio diocesano per la vita consacrata organizza un pomeriggio di riflessione nel monastero delle Clarisse Cappuccine, con testimonianze e adorazione eucaristica. A Torino, i monasteri aprono le porte per la preghiera comunitaria, mentre ad Aversa la Messa in Cattedrale sarà presieduta dal vescovo Angelo Spinillo. A Bergamo, l’appuntamento diocesano è nel monastero di Capriate: adorazione eucaristica e alle 18 la Messa presieduta dal vicario episcopale per la vita consacrata. Secondo i dati più recenti, le monache di clausura nel mondo sono circa 34mila, distribuite in oltre 3.500 monasteri. In Italia se ne contano circa 4.500, con una presenza significativa di ordini francescani, benedettini e carmelitani. Nonostante il calo generale delle vocazioni religiose, la scelta contemplativa resta stabile e in alcuni Paesi cresce, soprattutto in Africa e Asia.
Da Milano a Camerino, passando per esperienze missionarie in Camerun e India, il lavoro come ingegnera edile, il volontariato in oratorio alla parrocchia San Barnaba e in ambulanza con il 118 di Rozzano, il servizio di animazione con i giovani al Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere). La parabola esistenziale di suor Marzia Francesca Comito, 36 anni, è densa di scelte, attività, slanci che l’hanno portata lo scorso 4 ottobre – festa di san Francesco d’Assisi – a emettere i voti temporanei di povertà, castità e obbedienza nelle mani dell’abbadessa madre Laura Cristiana Girometti del monastero Santa Chiara, dov’è approdata per la prima volta poco più di quattro anni fa grazie a un pellegrinaggio da Fabriano a L’Aquila nelle terre ferite dal terremoto del 2016. «Il mio percorso di ricerca è iniziato dai 20 anni in poi: mi chiedevo cosa volessi davvero, mi immaginavo con tanti figli, ma non avevo mai pensato a una vita di consacrazione, tanto meno contemplativa. Ma Gesù mi voleva più vicina e ho iniziato a scappare: ricordo con tenerezza le tante fughe dalla sua voce, non mi ci vedevo suora... Facevo tante cose, però tutto assumeva un senso quando mi fermavo in preghiera», racconta la giovane clarissa, che vive con quattro consorelle in una struttura di legno costruita dopo il sisma del 2016: le scosse fecero crollare in parte la chiesa e il monastero in provincia di Macerata.

«Con un gruppo di giovani ho incontrato quelle che ora sono le mie sorelle: durante la loro testimonianza, mi ha colpito come si relazionavano e rispondevano alle domande, non tagliando fuori emozioni e sentimenti, in sintesi la maniera umana di vivere la loro consacrazione. Così pian piano ho intuito che avrei potuto indagare la domanda vocazionale senza aver paura, ho ricevuto lo slancio per potermi avvicinare a loro e iniziare un cammino di discernimento, fino all’ingresso in postulato tre anni fa», ricorda suor Marzia Francesca, che dopo il liceo scientifico si era laureata al Politecnico e aveva lavorato in diversi cantieri. «Non conoscevo la spiritualità clariana, ho saputo dopo che c’era un monastero a Milano. Il Signore mi ha condotto a Lui attraverso questa forma di vita che mi spinge a comprendere di più il Vangelo per incarnarlo maggiormente, dargli la possibilità di diventare corpo in me oggi: un cammino di conformazione che santa Chiara invita a compiere “specchiandoci” in Lui».

Preghiera e meditazione, studio, lavoro, condivisione fraterna: così scorrono le giornate trascorrono in clausura, che per suor Marzia Francesca rappresenta «un mezzo per una vita contemplativa: viviamo in maniera più ritirata per custodire e nutrire una relazione che è il centro della nostra vita. Siamo qui per le persone, che ascoltiamo concretamente. Chiara e Francesco non si pensano mai lontani dalla gente e questa dimensione di apertura richiama quello che facevo prima». Quindi «il desiderio profondo di intimità con il Signore» si coniuga con «la possibilità di incontrare tanti ed essere un punto fermo che rimane sul territorio come luogo di accoglienza. Oggi quasi nessuno ha tempo di ascoltare». Certo, la clausura resta «un mistero. La nostra è una vita semplice e può sembrare poco allettante, inutile e sprecata se dentro di noi aderiamo a ciò che conta per il mondo di oggi: la perfomance, il successo, la visibilità. Ma non valiamo per ciò che facciamo, per quello che gli altri pensano o stimano di noi. L’amore non produce nulla, così il tempo che dedichiamo alla cura e all’ascolto. Esistiamo davanti allo sguardo del Signore, l’unica vera ricchezza».
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