Dialogo e ascolto, così la Bibbia insegna alla scienza a difendere il Creato
di Redazione
Dalla lettura della Genesi fino all’antica tradizione orale ladina sull’origine della Marmolada. L’invito a tornare alle origini, con la capacità di non fermarsi al dettaglio

La specializzazione dei saperi che ha caratterizzato la civiltà occidentale a partire dalla Rivoluzione illuministica ci ha permesso di penetrare in profondità i segreti del mondo che ci circonda, e di dominarlo con moltiplicate capacità tecniche e scientifiche, ma ci ha fatto perdere le connessioni tra le cose, la visione d’insieme, il senso profondo della realtà capace di unire le sue mille sfaccettature scandagliate al microscopio. È come se ci fossimo specializzati nello zoom in, e avessimo perso la capacità contraria di zooming out, di ritornare indietro dalla vertigine del dettaglio all’orizzonte. Nel terzo anniversario della tragedia della Marmolada, la valanga che il 3 luglio 2022 ha travolto e ucciso 11 persone ed è diventata uno dei simboli dell’accelerazione del riscaldamento globale, si moltiplicano gli studi geofisici, le analisi sul ghiacciaio, l’appello a salvare i ghiacciai morenti. Per capire a fondo la tragedia della Marmolada serve invece uno zooming out, è necessario allontanarsi dal ghiacciaio e connetterlo a un insieme più grande. Forse bisogna partire proprio dall’inizio, dal libro della Genesi, e dai versetti del primo capitolo quando, dopo aver creato e portato a compimento il mondo, Elohim (termine ebraico riferito a Dio), “cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro” (Genesi 2,23). Il testo, che risale molto probabilmente al VII-VI secolo a.C. e riprende temi della mitologia mesopotamica (l’Enuma Elish) sottolinea l’elemento fondativo del riposo, che diviene vero e proprio “tempo sacro” perché non soggetto a scansione, sottratto al tempo profano del fare: è il tempo della festa, ma anche della relazione - con sé e con il mondo, e dunque con Dio. Nel riposo c’è dunque rigenerazione, c’è ricreazione: sta in questo il senso profondo della festa, come ci ricordano, in modi diversi ma consonanti, l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco e la riflessione filosofica di Byung-Chul Han nel suo libro La società della stanchezza. Il consumismo, la società della prestazione e della performance - fisica, atletica, turistica - hanno smarrito il senso profondo della festa. Non si riposa più, si consuma diversamente. Quale il nesso - vi chiederete - con il ghiacciaio della Marmolada? Nella tradizione orale ladina il ghiacciaio è il prodotto di una maledizione, che scatta proprio nel momento in cui viene infranto il precetto festivo: la vecchia contadina (di cui viene sottolineata fin dall’inizio l’avidità) si rifiuta di osservare il precetto del riposo festivo - è il 5 agosto, festa della Madonna della Neve - e invece che partecipare alla processione in paese se ne va a recuperare il fieno sui verdi prati della Marmolada per evitare che il maltempo rovini il raccolto. La Madonna della Neve punisce il comportamento sacrilego della vecchia facendo nevicare ininterrottamente fino a seppellirla con il suo fieno sotto quello che diventerà il ghiacciaio della Marmolada. Ancora oggi - dice la leggenda - chi si aggira di notte sul ghiacciaio può udire i lamenti della malcapitata risalire dai crepacci, a perenne monito. Al di là di interpretazioni evenemenziali che collegano il racconto a fenomeni climatici del passato (le ultime glaciazioni o semplicemente la Piccola Età Glaciale tra Cinquecento e Ottocento), la leggenda contiene un insegnamento morale dal valore universale: chi pensa solo al proprio tornaconto, al proprio interesse, viene punito dall’universo che richiede dialogo, ascolto e relazione. La consacrazione del riposo nel settimo giorno della creazione nel libro della Genesi risuona nella leggenda della Marmolada: l’invito a fermarsi, ad entrare in relazione con il Creato o, in una prospettiva atea, con l’ambiente e le sue dinamiche non è superstizione, non è bigottismo (lo è invece tradurre il messaggio profondo dei testi sacri nel mero assolvimento di un obbligo rituale, e ciò significa aver perso la capacità di cogliere il linguaggio simbolico dei miti), è semplicemente una necessità per la sopravvivenza nostra e dei viventi. Oggi la maledizione è rovesciata, e sembra essere la scomparsa del ghiacciaio la punizione per il turismo, per lo sci, per il fabbisogno idrico, ma il messaggio sottostante rimane lo stesso: l’incapacità di mettersi in ascolto, in dialogo con l’altro e gli altri produce conseguenze nefaste. La scomparsa del ghiacciaio della Marmolada - dunque - non è un problema in sé, lo è nella misura in cui diventa segnale di allarme per gli equilibri della vita. Salvare il ghiacciaio morente, umanizzarlo nella sua fine tragica, o imbalsamarlo dentro qualche migliaio di metri quadri di teli geotessili utili a perpetuare la pratica dello sci, il business as usual, è esattamente quello che farebbe la vecchietta avida del terzo millennio. La vicenda della Marmolada è dunque un invito a guardare oltre il ghiacciaio, a cogliere le connessioni invisibili che lo legano a fenomeni che provengono da lontano, e coinvolgono gli assetti politici, economici e culturali della montagna e del nostro stile di vita. La Marmolada ci invita a reimparare il senso della festa, vicino e lontano dal ghiacciaio che - ci dice la scienza - ha gli anni contati. E se non lo capiamo, li abbiamo anche noi. (La lezione della Marmolada è il libro di Mauro Varotto che esce in questi giorni all’interno della Collana L’altra Montagna. People edizioni).
professore di Geografia Università di Padova
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