martedì 12 settembre 2017
La città nota come «perla dei Caraibi» è anche triste meta del turismo sessuale. Oltre il 75% degli abitanti vive in case fatiscenti. Parla Lorenza, che ogni giorno dà da mangiare gratis a 85 bimbi
Un’immagine dall’alto della baraccopoli di Cartagena

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Non è facile orientarsi nel labirinto di casupole e viottoli fangosi. Quando pioviggina, come ieri, le vie si trasformano in pantani. La dimora di Lorenza, però, è inconfondibile. Fuori, a qualunque ora del giorno, c’è un nugolo chiassoso di bambini. Vengono qui a rifocillarsi: da quindici anni, l’anziana offre loro un pasto caldo e qualche parola di conforto. Gratis. Anzi, a proprie spese. Lorenza Pérez sborsa i magri guadagni di una vita di domestica perché nessun piccolo del vicinato resti a stomaco vuoto. «Ha udito mai il pianto di un bimbo affamato? Io sì e non voglio più sentirlo, almeno qua intorno», dice Lorenza, 77 anni. La casa è piccola: un minuscolo patio, una stanza fa da soggiorno-cucina, l’altra è camera da letto di notte e, di giorno, mensa improvvisata. «Come ci stanno 85 bambini? Il posto si trova. Magari si fanno dei turni».

Lorenza mostra orgogliosa la facciata candida. «L’abbiamo dipinta per lui. È il minimo. Mi ha fatto un regalo così grande a venire», afferma mentre le scendono le lacrime. Domenica, Lorenza ha ricevuto una visita speciale: quella di papa Francesco. «Gli ho chiesto di benedirmi e di pregare il Signore perché abbia salute. Il denaro non mi serve, no. Solo stare in piedi per continuare a cucinare per i miei bambini… Poi ho notato che si era fatto un bernoccolo nel percorso, sa la strada è accidentata… E allora gli ho messo del ghiaccio e un cerotto. Si è ferito pur di venire a trovarci!». Il Pontefice - che ha concluso nella 'Perla dei Carabi' il pellegrinaggio colombiano - ha scelto di vedere anche l’altra faccia di Cartagena. Quella che il flusso di centinaia di migliaia di turisti non conosce. Appena fuori dal centro-gioiello, racchiuso da uno scrigno di mura secolari, quaranta baraccopoli s’ammassano l’una sull’altra: San Francisco, Nelson Mandela, La Boquilla, El Pozón…

Là risiede il 75 per cento dell’oltre un milione di abitanti. L’80 per cento delle persone non ha accesso all’acqua potabile, sette bimbi su 10 non frequentano la scuola, l’82 delle strade non è asfaltato. Da là proviene l’esercito delle prostitutebambine, costrette a vendersi ogni giorno agli stranieri per pochi spiccioli. Cartagena è la capitale colombiana del turismo sessuale. «Una di loro abita laggiù – racconta Antonio Corrales, uno dei leader della comunità –. Ha cominciato a 9 anni». «Non sa la rete di complicità che consente lo sfruttamento: dai tassisti agli albergatori, tutti fingono di non vedere. Perfino le madri: se no come farebbe a dare da mangiare agli altri figli? » , afferma Lincoln Martínez, docente, da sempre impegnato, insieme alla moglie, per il riscatto delle comunità più emarginate.

La dimora di Antonio sorge alle spalle di quella di Lorenza, tra la palude e la collina di La Popa. Dove ora è un groviglio di vegetazione confusa, fino a sei anni fa, viveva quasi la metà della popolazione di San Francisco: almeno 5.600 persone. «Poi è arrivato il giorno 'dell’esodo'», prosegue Antonio. L’esodo è il nome che la comunità ha dato a quel tragico 13 agosto 2011 quando 550 case crollarono come le tessere del domino. Altre 156 subirono gravi danni, tra cui quella di Antonio. «Erano le 9 del mattino. Pioveva. Tutti correvano disperati. Non so per quale grazia non ci siano state vittime». La causa della catastrofe è la faglia aperta sotto il terreno da un piccolo terremoto, avvenuto nel 1998.

L’anno dopo, l’équipe incaricata della rilevazione aveva definito La Popa zona ad alto rischio. Nessuno si è preoccupato, però, di comunicarlo ai residenti. Questi stanno ancora aspettando la sentenza definitiva della causa intentata contro l’Amministrazione. Nel frattempo, alcune famiglie sono state ammassate in alloggi di fortuna: 75 metri quadrati per tre nuclei. Altri ricevono un indennizzo dell’equivalente di 65 euro al mese: un affitto costa il triplo. «Mia madre Isabel – sottolinea Manuel Mesa, operatore sociale e residente – viene a La Popa tutti i giorni e fissa l’erba. Dice che almeno le resta il ricordo della sua casa».

Eppure, domenica, Isabel ha dimenticato le sue pene. Ha spalancato le porte a parenti amici arrivati dalle altre baraccopoli e tutti insieme hanno visto passare papa Francesco. «Lui si è ricordato di noi - dice -. Con la sua presenza ci ha ricordato che non siamo soli».

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