venerdì 9 aprile 2021
Il comboniano d’origine vicentina, padre Carlassare, guiderà la diocesi di Rumbek nel Sud Sudan. «Il Paese ha bisogno di pace dopo quarant’anni di conflitti. No alla cultura della violenza»
Il primo a sinistra è padre Christian Carlassare, missionario comboniano e nuovo vescovo della diocesi di Rumbek assieme alla sua comunità

Il primo a sinistra è padre Christian Carlassare, missionario comboniano e nuovo vescovo della diocesi di Rumbek assieme alla sua comunità - Vatican Media

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«È una Chiesa dal volto africano, anche se guidata da un vescovo dal volto bianco». Il comboniano padre Christian Carlassare, nominato da papa Francesco vescovo della diocesi di Rumbek, è in Sud Sudan dal 2005. Perciò sa bene che cosa il popolo si aspetti dal proprio pastore. Il religioso, 43 anni, è probabilmente il più giovane vescovo cattolico missionario del mondo, ora a guida di una diocesi dove la maggior parte della popolazione è sotto i trent’anni. Raccoglie l’eredità del vescovo Cesare Mazzolari, scomparso nel 2011. In questo decennio la Chiesa locale è stata retta dall’amministratore diocesano, padre John Mathiang Machol. Ancora però padre Carlassare non ha ricevuto l’ordinazione e quindi non ha fatto il suo ingresso nella diocesi che è in programma a fine maggio.


In Sud Sudan il più giovane vescovo italiano
Scelto da Papa Francesco per guidare una delle diocesi più povere, quella di Rumbek, il 43enne
padre Christian Carlassare: «Una delle sfide più importanti è l’evangelizzazione: mettere al centro Cristo, annunciando una Chiesa che non è solo un’organizzazione umanitaria»

«Sento una grande responsabilità – dice –, ma la gente meritava il mio sì. Dovrò riuscire a far capire quanto tengo a loro, anche se le mie origini sono straniere. Inoltre, dovrò spiegare che non è la mia Chiesa, ma la loro. E con “loro” intendo tutti. A Rumbek, la maggioranza della popolazione è di etnia dinka, poi c’è una minoranza nuer, e poi ci sono vari clan. È importante ribadire la dignità di ogni persona perché la tendenza è alla discriminazione delle minoranze».
La diocesi si estende su una superficie di circa 60mila chilometri quadrati, conta una popolazione di un milione e 800mila persone, di cui 200mila cattolici. Ci sono 15 parrocchie e 10 sacerdoti, oltre a religiosi e religiose di varie congregazioni, impegnati soprattutto sul fronte dell’educazione. «Sarà, quindi, molto importante l’apporto dei laici che vanno valorizzati. Così come sarà essenziale l’opera ecumenica, perché c’è una forte presenza anglicana. Ci sono, poi, parecchie Chiese avventiste del Settimo Giorno. Dovremo imparare a trovare ciò che unisce».

Padre Carlassare è nato il 1° ottobre 1977 a Schio (provincia e diocesi di Vicenza), dove ha vissuto ed è morta la religiosa sudanese santa Giuseppina Bakhita. Ispirato dalla sua figura, ha scelto il Sud Sudan come luogo di missione, inizialmente fra la gente di etnia nuer di Old Fangak, nello Stato di Jongley. Dopo la maturità, frequenta un corso di orientamento nel Seminario dei Missionari Comboniani a Thiene e svolge il postulandato e gli studi filosofici a Firenze alla Facoltà teologica dell’Italia centrale e il noviziato a Venegono. Completa il baccalaureato in teologia alla Gregoriana e il baccalaureato in missiologia all’Urbaniana. Emette la professione solenne a Roma nel 2003 ed è ordinato sacerdote l’anno successivo.

Giunto in Africa, si occupa della pastorale giovanile e dell’accompagnamento vocazionale dei giovani seminaristi nella capitale Juba. Da giugno 2020 è vicario generale della diocesi di Malakal, da dove farà le valigie il 20 marzo. «Durante la Messa per la festa di san Giuseppe ho salutato i fedeli, con grande dolore, perché qui mi sono sentito molto amato. Dopo qualche giorno di ritiro spirituale, visiterò le prime parrocchie. La celebrazione di ordinazione episcopale sarà probabilmente a maggio».

Uno dei grossi problemi che la Chiesa dovrà affrontare è la riconciliazione di un popolo che vive in guerra da oltre quarant’anni. «“Facciamo la riconciliazione, ma l’ascia di guerra la sotterriamo vicino alla porta di casa, a portata di mano”. Lo disse Desmond Tutu per il Sudafrica, vale anche per il Sud Sudan. La cultura violenta è radicata, tutti pensano che l’unico modo per far valere i propri diritti sia usare la forza.

L’accoglienza di papa Francesco in Vaticano del presidente Salva Kiir e del vice Riek Machar (aprile 2019, ndr) ha lasciato un segno, tanto che i due sono arrivati a un compromesso, e hanno formato il governo. Il problema per loro è portare alla pace le tante milizie armate e conquistare le popolazioni locali che hanno ferite aperte che vengono da lontano». Tutto questo in un Paese di nuovo a un passo dalla crisi umanitaria. «L’alluvione dello scorso autunno ha lasciato strascichi. Molti sono sfollati da territori ancora sommersi. E i campi pregni d’acqua non sono coltivabili. Presto sarà la fame», conclude il vescovo eletto.

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