venerdì 3 dicembre 2021
Kontidis: noi cattolici siamo una piccola comunità, il rischio da vincere è quello di chiudersi nei propri gruppi nelle propria etnie
Theodoros Kontidis, arcivescovo di Atene

Theodoros Kontidis, arcivescovo di Atene - Collaboratori

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«Sarà qui per invitarci all’unità, per incoraggiare il dialogo tra le Chiese. La visita del Papa è un forte appello prima di tutto ai cattolici, che sono un piccolo gregge ma che sono chiamati a testimoniare la loro fede in un Paese e in una Chiesa che sta molto cambiando». Theodoros Kontidis, gesuita, arcivescovo di Atene, accoglierà papa Francesco domani, in arrivo da Cipro. E a Francesco mostrerà una comunità che non è più quella di vent’anni fa, quando Giovanni Paolo Ii venne accolto nella capitale con curiosità e tra qualche protesta dei cristiani ortodossi che mal digerivano la presenza del capo della Chiesa di Roma.

Come si sta trasformando la comunità cattolica greca?
La nostra è una comunità multiforme, che ha davanti alcune opportunità che dobbiamo saper cogliere. Ecco perché credo che l’appello all’unità che arriva dal Papa riguardi prima di tutto noi e le nostre Chiese locali. Da alcuni anni siamo una comunità con volti nuovi, con gruppi di fedeli di diverse nazionalità e culture, ma accomunati dalla fede in Cristo. Abbiamo visto arrivare nelle nostre parrocchie cattolici polacchi, filippini, africani, cristiani siriani, altri europei, ucraini, latinoamericani. Tutto questo fa della nostra Chiesa un mosaico.

E qual è la vostra maggiore preoccupazione?
È ancora forte la tentazione di chiudersi nel proprio gruppo, nella propria etnia. Questa è la sfida che abbiamo davanti. Ci stiamo molto impegnando ad evitare che i singoli gruppi etnici vivano la loro fede in una sorta di autoisolamento nel quale tenere vive le proprie radici, ma senza innestarsi nella nuova realtà. Al contrario proprio questa nuova presenza vivifica le nostre Chiese senza perdere la tipicità delle culture di provenienza e in un certo senso rinnova il nostro cristianesimo.

Perché è così importante nella Grecia che si affaccia sul Mediterraneo e che dai suoi confini guarda anche a Oriente, parlare di "unità" tra i cristiani?
Noi ci troviamo in un Paese a maggioranza di fedeli cristiani ortodossi. Il cammino verso l’unità e il dialogo non è sempre facile. Ma se pensiamo alle risposte date dai cristiani ai bisogni delle persone, specie a causa della pesante crisi economica e poi della pandemia, e più di recente con l’arrivo di profughi, possiamo notare una complementarietà: gli ortodossi lavorano soprattutto nella prossimità attraverso le parrocchie, in modo capillare, ma non hanno strutture nazionali o sovranazionali come può essere invece la Caritas Internazionale che invece riesce a mettere in rete progetti e persone, proprio come facciamo anche qui in Grecia sostenendo sia la popolazione locale che i fratelli migranti.

Si potrebbe parlare di “ecumenismo della carità”?
In un certo senso si, ma il bisogno che vedo in questo momento è la necessità di avvicinarsi tra cattolici è ortodossi. Occorre interessarsi l’uno all’altro, conoscersi meglio, sempre rispettando la tradizione e la specificità dell’altro".

Cosa può imparare la Chiesa cattolica dalle comunità ortodosse?
Se per noi cattolici la secolarizzazione è una grande questione. sembra invece che la Chiesa ortodossa sappia meglio affrontare questa sfida. I popoli ortodossi sono attaccati alla propria tradizione, manifestano una forte stima per la propria eredità e per la propria tradizione spirituale. In Occidente invece si vede troppo spesso anche una ostilità, una diffidenza per la propria identità, per la propria tradizione. E su questo i cattolici devono saper riflettere.

E la comunità ortodossa in Grecia cosa può apprendere dai cattolici?
La Chiesa ortodossa talvolta teme i cambiamenti. È uno degli effetti collaterali dell’attaccamento, alle volte troppo forte, alle proprie tradizioni. La comunità cattolica invece affronta con meno timori la modernità e nel dialogo con i fratelli ortodossi entrambi possiamo rafforzare il messaggio cristiano nel nostro tempo. Abbiamo bisogno di ritrovarci per imparare gli uni dagli altri".

Il rischio delle divisioni, come dimostra non solo simbolicamente il muro di Cipro, che separa la parte turca da quella greca, non riguarda solo i cristiani e coinvolge le istituzioni. Muri come quelli che vengono opposti ai profughi che cercano di raggiungere l’Europa raggiungendo proprio la Grecia.
Per questa ragione il viaggio del Papa è ricco di spinte e significati. Dona alla Chiesa cattolica greca la possibilità di mostrarsi per quello che è. Una Chiesa minoritaria ma che grazie al Pontefice si sente parte della Chiesa Universale. Allo stesso tempo la presenza di Papa Francesco costituisce un altro passo verso la Chiesa ortodossa. In Grecia e a Cipro, le nostre comunità sono piccole ma costruiscono ponti per incontrarsi e ponti per accogliere, come facciamo con i profughi e come facciamo con i bisogni dei nostri concittadini.

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