giovedì 27 settembre 2018
Tra loro Guo Jincai, uno degli otto appena «riconosciuti» dal Papa
Vescovi asiatici

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Due vescovi cinesi parteciperanno al prossimo Sinodo dei vescovi sui giovani. È un effetto immediato e sorprendente dell’accordo firmato lo scorso 22 settembre e una secca smentita delle previsioni negative di chi riteneva sarebbe cambiato ben poco. È tantissimo tempo, infatti, che è atteso a Roma l’arrivo di vescovi cinesi. Giovanni XXIII e Paolo VI aveva sperato vivamente di poter accogliere al Concilio Vaticano II vescovi provenienti dalla “Nuova Cina”, di cui si avevano poche notizie e dove era già aperta la ferita delle ordinazioni illegittime. Furono fatti tentativi concreti per farli venire, ma non fu possibile riuscirci (cfr. Avvenire, 8 settembre 2018). Vescovi cinesi furono invitati da Giovanni Paolo II al Sinodo del 1998 (Duan Yinming e Xu Zhixuan) e da Benedetto XVI a quello del 2005 (Li Duan, Jin Luxian, Wei Jingyi e Li Jingfeng) ma non gli fu dato il permesso perché non era stato ancora firmato alcun accordo. La Repubblica popolare cinese, infatti, ha sempre respinto come interferenze di un’autorità straniera nella vita interne del Paese iniziative del Papa sulla Chiesa cinese. Questa volta invece verranno, a conferma della necessità e dell’urgenza di sottoscrivere un testo su cui si lavorava da almeno dieci anni.

Oggi la vera sfida è costituita dalla trasformazione dell’accordo da provvisorio a definitivo e l’invio di alcuni vescovi cinesi al Sinodo rappresenta un primo rapido passo in questo senso. È una decisione che si è scontrata con resistenze e opposizioni. In Cina c’è chi teme le conseguenze di questa apertura e vorrebbe fermare il dialogo. Con l’invio di vescovi a Roma le autorità di Pechino hanno invece investito sulla fiducia. Va nella stessa direzione anche la partecipazione di altri tre vescovi cinesi al convegno della comunità di Sant’Egidio e dell’arcidiocesi di Bologna, “Ponti di pace: lo spirito di Assisi” che si terrà in questa città dal 14 al 16 ottobre 2018: Shen Bin, di Haimen, Dang Mingyan, di Xi’an, e Yang Yongqiang, di Zhoucun. Sono tutti segni che si vogliono intensificare i legami tra la Chiesa cinese e le altre Chiese. Per questi vescovi, infatti, si tratta di un’occasione di incontro e di conoscenza con rappresentanti cattolici di tutto il mondo vietata in passato perché considerata rischiosa per la sicurezza cinese.

Questa apertura sollecita altra fiducia. Tra i due vescovi indicati per il Sinodo c’è uno dei sette che sono stati appena riconosciuto da papa Francesco, Guo Jincai, e per cui è stata creata la nuova diocesi di Chengde (l’altro è Yang Xiaoting, di Yan’an). È dunque pienamente in comunione con Roma, ma dopo un percorso che lo ha fatto apparire molto legato alle autorità: si tratta, non a caso, del segretario della conferenza dei vescovi cinesi non riconosciuta da Roma. Qualcuno protesterà, ma sarebbe un errore interrompere il circolo virtuoso della fiducia: è proprio chi è stato lontano che deve trovare posto vicino. Accoglierli al Sinodo non significherà riconoscere l’attuale conferenza dei vescovi cinesi: ad essa, infatti, non partecipano (ancora?) vescovi “clandestini”, di cui la Santa Sede continua espressamente a farsi carico. Significherà però stringere legami più forti che aiutino ad affrontare i problemi ancora aperti.

«Prima di contrarre amicizia, bisogna osservare, dopo averla contratta, bisogna fidarsi» scrive papa Francesco citando una frase di Matteo Ricci. È quanto ha fatto il Papa nel volo di ritorno dai Paesi Baltici, assumendosi in modo chiarissimo tutte le responsabilità dell’accordo e spazzando via così anche la minima ombra di divergenze tra lui stesso e i suoi collaboratori, di cui ha fatto espressamente i nomi con affetto e gratitudine. E il tono amichevole e aperto del suo messaggio ai cattolici cinesi – non è un’“enciclica cinese” sui problemi ancora aperti ma una comunicazione paterna e spirituale rivolta all’“unica” Chiesa che è in Cina – ha suscitato reazioni positive in ambienti vicini al governo e commosso molti osservatori non cattolici. Non è un caso: come ha sottolineato Avvenire, l’importanza principale dell’intesa non è nel suo contenuto – e cioè le modalità provvisorie della nomina dei vescovi - ma la volontà comune di affrontare insieme molti problemi, non solo quelli che riguardano strettamente la Chiesa cattolica in Cina. Nei lunghi incontri che lo hanno preparato, le due parti hanno espresso la comune volontà di collaborare insieme anche su terreni come l’ambiente, gli scambi culturali, la pace. Il messaggio di papa Francesco ai cattolici cinesi chiude definitivamente una lunga stagione di polemiche e contrapposizioni: le parole del Papa, in piena continuità con i suoi predecessori, impegnano infatti la Chiesa cattolica anche per il futuro.

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