martedì 28 novembre 2017
Numerosi i cattolici uccisi in odio alla fede nei 500 anni di storia cristiana della nazione. Già beati padre Mario Vergara, sacerdote del Pime, e un laico birmano
Padre Mario Vergara

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Cinquecento anni di evangelizzazione del Paese, celebrati nel 2014, ma non è mai stata facile la vita dei cattolici del Mayanmar, sottoposti a persecuzioni, soprattutto a partire dagli anni ’50 e ’60, quando la giunta militare al potere decide la nazionalizzazione delle istituzioni religiose della Chiesa di Roma e allontana 239 missionari. Inizia così un periodo difficilissimo, con diversi martiri, due dei quali proclamati beati il 24 maggio 2014, nella Cattedrale di Aversa, dal prefetto della Congregazione delle cause dei santi, il cardinale Angelo Amato. Si tratta di padre Mario Vergara, missionario del Pime, e di un suo amico catechista, Isisdoro Ngei Ko Lat, uccisi all’alba del 25 maggio 1950 a Shadaw.

A fucilarli furono i guerriglieri perché ingiustamente accusati di convivenza con il governo centrale e rei di tenere viva l’eredità dell’antico governo coloniale. Isidoro è tra l’altro il primo birmano ad essere beatificato. Un giovane semplice, onesto e umile, così lo descrivono gli atti del processo di beatificazione. Nel suo villaggio di Dorokhò apre una scuola privata gratuita, in cui insegna ai bambini il birmano e l’inglese, impartisce lezioni di catechismo, musica e canzoni sacre. È in buon rapporti con tutti e tutti gli vogliono bene. Anche la vita di padre Vergara è stata interamente spesa per l’annuncio del Vangelo a queste latitudini. Nato a Frattamaggiore (Aversa) nel 1910 e ordinato sacerdote nel 1934, parte l’anno seguente per la Birmania, dove gli viene assegnato il distretto di Citaciò sulle montagne dei Sokù.

Tra quelle popolazioni affronta prove durissime, tra le quali una grave carestia, e durante la seconda Guerra mondiale viene internato con tutti i missionari italiani nei campi di concentramento in India. Tornerà in Birmania solo nel 1946 fortemente indebolito nel fisico e subisce anche l’asporta- zione di un rene. Ma non si dà per vinto. Il suo zelo apostolico non diminuisce. Trova il martirio nel tentativo di chiedere la liberazione, insieme con Isidoro, di un altro catechista arrestato, Giacomo Coléi. Purtroppo la missione non ha esito e i due, dopo essere stati uccisi, vengono gettati nel fiume Salween. I loro corpi non sono mai stati ritrovati. «Abbiamo molti altri martiri in Myanmar, che meritano la santità – disse all’epoca della beatificazione l’arcivescovo di Yangon, Charles Bo, poi elevato da Francesco alla dignità cardinalizia –. Lavorerò con impegno perché siano riconosciuti al più presto».

Tra questi spicca la figura don Stefano Vong, il primo sacerdote locale della diocesi di Kengtung, ucciso da un bonzo buddhista nel 1961 all’età di 47 anni. Le circostanze della sua morte rimandano a una stagione di attriti con i buddhisti che fortunatamente oggi è alle spalle, come testimonia anche l’incontro con il Papa in programma a Yangon durante questo viaggio. I missionari buddhisti erano infatti impegnati a convertire la tribù Akhà, tra le quali lavorava donVong. Perciò lo uccisero a fucilate mentre stava visitando i villaggi in vista della Pasqua del 1961. Ci sono poi quattro altri missionari del Pime, che hanno pagato con la vita la loro opera di evangelizzazione.

Si tratta di padre Pietro Manghisi, originario di Monopoli, anch’egli attivo nella diocesi di Kengtung, ucciso dai soldati irregolari cinesi il 15 febbraio 1953; di padre Alfredo Cremonesi, del quale è in corso il processo di beatificazione, accusato di favorire i ribelli e perciò ucciso dai militari birmani il 7 febbraio 1953; di padre Pietro Galastri, compagno di missione di Vergara nel villaggio di Shadaw e ucciso insieme con lui e Isidoro; e infine di padre Eliodoro Farronato, che trovò la morte a Mongyong, per mano dei guerriglieri cinesi l’11 dicembre 1955.

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