venerdì 20 dicembre 2019
L'annuncio della Congregazione per la dottrina della fede. L'Italia tra i Paesi più trasparenti. Dagli Usa il maggior numero di denunce. Il prossimo anno un rapporto con le statistiche
Manifestazione delle vittime di abusi in Vaticano il 24 febbraio 2019 (Ansa)

Manifestazione delle vittime di abusi in Vaticano il 24 febbraio 2019 (Ansa)

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La svolta della Chiesa italiana sull’emergenza abusi all’insegna della trasparenza e a favore delle vittime, sta trovando riscontri immediati. E la decisione del Papa di cancellare il segreto pontificio per le violenze sessuali ha ridato slancio a un obiettivo di verità che è stato portato avanti con forza da Benedetto XVI e con grande vigore da Francesco e che, per quanto riguarda i vescovi italiani, si è già concretizzato nelle Linee guida approvate lo scorso maggio.

Un paradigma giuridico-pastorale con indicazioni segnate da una precisa volontà di collaborazione con l’autorità giudiziaria. La conferma della svolta arriva dalla stessa Congregazione per la dottrina della fede che dal 2001 ha competenza esclusiva sui “delitti di abuso sessuale”, con una legislazione canonica che è stata rafforzata sotto i pontificati di Ratzinger e di Bergoglio.

Oggi il capo Ufficio della Sezione disciplinare della Congregazione, monsignor John Joseph Kennedy, ha spiegato all’agenzia Associated Press che nel 2019 si è toccata la cifra record di mille casi segnalati da tutto il mondo.

E se arrivano denunce anche da Paesi che non si erano mai fatti avanti, la maggior parte dei casi riguarda tuttora Stati Uniti, Argentina, Messico, Cile, Italia e Polonia. «Stiamo effettivamente assistendo a uno “tsunami” di casi che spesso – ha osservato monsignor Kennedy – riguardano situazioni di anni o anche decenni fa».

A dimostrazione della vastità del problema e a giustificare l’insistenza con cui papa Francesco torna su questa piaga dolorosa che richiederebbe forze ben più rilevanti di quelle a disposizione della stessa Congregazione. «Abbiamo soltanto 17 funzionari», ha ricordato Kennedy che poi si è abbandonato a una sottolineatura amara: «Suppongo che se non fossi un prete e avessi un bambino maltrattato, probabilmente smetterei di andare a Messa», con riferimento implicito alla situazione del suo Paese d’origine, l’Irlanda, dove a causa degli abusi la credibilità delle realtà ecclesiali è stata messa pesantemente in crisi.

La crescita delle denunce italiane, a parere dell’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori, conferma la bontà della strada intrapresa. Il vecchio atteggiamento difensivo sembra davvero cattiva prassi del passato se – come rivela – arrivano dalle diocesi segnalazioni anche risalenti a 35 o 40 anni.

È vero che per il diritto canonico un caso passa in prescrizione dopo vent’anni dal momento in cui la vittima ha compiuto la maggiore età, ma per situazioni particolarmente significative la Congregazione ha la possibilità di decidere eccezioni.

Sullo sfondo rimane il problema, già evidenziato, dei dati sugli abusi nella Penisola. Manca un quadro statistico credibile, sia a causa delle norme canoniche che impongono alle diocesi di comunicare le denunce soltanto alla Congregazione per la dottrina della fede, sia per le note difficoltà della nostra giustizia penale, con la maggior parte delle procure sempre sull’orlo del collasso.

Una strada percorribile potrebbe essere quella di accogliere questi dati – preziosi per avere un quadro credibile della situazione – nell’Indagine periodica realizzata dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. L’ultimo dossier statistico sui maltrattamenti risale al 2015.

Il nuovo documento dovrebbe arrivare il prossimo anno, come conferma la garante Filomena Albano: «È indispensabile creare un sistema nazionale per monitorare e raccogliere dati sulla violenza ai danni dei minorenni e avviare una valutazione complessiva della portata, delle cause e della natura della violenza. A raccomandarlo è stato il Comitato Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza lo scorso febbraio».

Contrastare efficacemente la violenza sull’infanzia richiede, infatti, una sua conoscenza a livello statistico, da un punto di vista quantitativo e qualitativo. «In attesa che venga attivato dallo Stato un sistema informativo nazionale, oggi assente, dal marzo scorso – prosegue la garante – abbiamo in corso rilevazioni e studi per la seconda edizione dell’indagine campionaria sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia, in continuità con quella del 2015. Si tratta però di una soluzione interlocutoria che non si sostituisce alla necessità che lo Stato metta in funzione quanto prima una banca dati estesa a tutto il territorio nazionale, imprescindibile per la predisposizione di politiche di prevenzione e intervento efficaci». E questa volta la Chiesa cammina con convinzione a fianco delle autorità civili.

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