sabato 31 dicembre 2022
Le tappe principali della vita del Papa merito Benedetto XVI, scomparso questa mattina
La biografia: Joseph Ratzinger, il teologo che diventò pastore d’anime

Siciliani

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È morto il Papa emerito Benedetto XVI, aveva 95 anni, e si era dimesso nel 2013 dopo un pontificato durato 8 anni. La Sala Stampa vaticana ha annunciato che la morte è sopravvenuta alle 9.34 nella residenza del Monastero Mater Ecclesiae, che il Papa emerito aveva scelto come sua residenza dopo la rinuncia al ministero petrino avvenuta nel 2013.

Benedetto XVI, scomparso questa mattina, era nato a Marktl sull’Inn in Baviera il 16 aprile del 1927, Sabato Santo. Su questa circostanza egli rifletterà a lungo considerandola segno della Provvidenza che lo legava in modo particolare al tempo pasquale, alla morte e alla Risurrezione di Gesù. Lo confermava in questo atteggiamento la convinta partecipazione dei genitori al cattolicesimo gioioso della Baviera. Erano gli anni dell’ascesa infausta del nazismo, ma sulla vita del piccolo Joseph non influivano le invettive sgraziate del Fuhrer bensì l’invito di Guardini a vivere lo Spirito della liturgia, a prender parte al risveglio della Chiesa nelle anime. Di qui la crescita serena segnata dall’amore per lo studio e l’attaccamento alla famiglia, il distacco sempre più cosciente dagli orientamenti del regime e la decisione di seguire l’esempio del fratello Georg che aveva scelto la via del Seminario. Anche i primi anni della guerra non portarono grandi cambiamenti nella vita quotidiana di Joseph, mentre negli anni successivi le pesanti sconfitte dell’armata tedesca portarono a un brusco risveglio. Arruolato nel 1944 a 17 anni, il giovane soldato venne poi fatto prigioniero dagli americani. Dal conflitto che segnò la fine dell’ epoca moderna, Joseph ritornò con la coscienza rinnovata della vocazione sacerdotale e con l’intenzione di dedicarsi allo studio della teologia.

Da subito, però, fece un’opzione altrettanto ferma: le risposte della Scolastica non erano più in grado di far fronte agli interrogativi sollevati dal tramonto dell’Europa. Non era solamente l’uomo moderno a essere scosso nelle sue certezze, anche il teologo non poteva sottrarsi al dubbio che investiva il senso stesso della creazione e della storia. L’attenzione si volgeva allora all’esistenza del singolo, alla filosofia dialogica nell’accezione che le avevano impresso il pensatore cattolico Ferdinand Ebner e il banditore del chassidismo, l’ebreo Martin Buber. Il modo per superare la solitudine dell’uomo chiuso nel suo ego è il dialogo. Solo il tu dell’altro libera l’uomo dal solipsismo e lo inserisce in un dialogo che è via verso l’amore, la verità e la libertà. Di più, il tu originario è quello di Dio da cui viene la parola che interpella l’uomo e chiede una risposta. Così il linguaggio è di origine divina e tutta la vita spirituale dell’uomo è, in ultima analisi, un dialogo con Dio da condurre in responsabilità e libertà. Queste ultime erano le parole d’ordine di John Henry Newman che andava così ad aggiungersi a Ebner e Buber quali cardini di un pensiero che, nonostante la giovane età, prendeva un orientamento già ben definito.

La formazione del giovane teologo Ratzinger andava di pari passo con la sua definitiva decisione di diventare prete, con la sua ordinazione sacerdotale e con un intenso anno di vita pastorale. All’ordinazione, fissata per il 29 giugno del 1951, assistettero i genitori e la sorella tanto più commossi perché i Ratzinger ordinati in quel giorno erano due, Georg e Joseph, due giovani scampati alla guerra che ora venivano affidati definitivamente al Signore. Dopo i festeggiamenti a Joseph venne affidato il primo incarico pastorale nella parrocchia del Preziosissimo sangue a Monaco. Una parrocchia del centro scelta per consentire al novello sacerdote di svolgere un anno di cura pastorale prima di restituirlo alla carriera universitaria cui egli era ormai destinato. Da quell’anno di cura pastorale don Joseph portò con sé il ricordo dell’amore ardente per Cristo del parroco Max Blumscein e una massima del gesuita Alfred Delp, un martire del nazismo che aveva operato in una casa dell’ordine nelle vicinanze della parrocchia. Diceva, dunque, padre Delp: «Il pane è importante. La libertà è più importante. Ma la cosa più importante è la fedeltà ininterrotta e l’adorazione mai tradita».

La via verso il dottorato e la libera docenza in vista dell’insegnamento della teologia nelle università di Stato proseguì con l’approfondimento del pensiero di sant’Agostino e san Bonaventura. L’accostamento al padre africano era funzionale alla ricerca sulla natura della Chiesa. Il pensiero del vescovo di Ippona portava nuovo sostegno alla concezione mistica e spirituale sostenuta dal movimento liturgico. Nella Chiesa è presente la caritas che viene dallo Spirito Santo e nutre la comunione dei santi. Agostino si sottraeva così alla tentazione, che fu dei donatisti ma si ripeterà tante volte nella storia, di espellere i peccatori dalla comunità cristiana con il rischio di farne una società di presunti perfetti e iniziati. Non meno fecondo fu l’apporto di san Bonaventura. Il dottore francescano, secondo Ratzinger, elaborò un concetto di rivelazione non statico, non metafisico, bensì legato agli interventi di Dio nella storia di Israele e di tutti gli uomini. L’evento rivelativo centrale e definitivo è quello di Gesù Cristo, inviato dal Padre nel mondo per salvare gli uomini. Messo a morte dai vignaioli infedeli, il Figlio è risuscitato a vita nuova nello Spirito d’amore. Quest’opera di Dio ebbe dei testimoni che misero per iscritto la Parola rivelata affidandola alla comunità dei credenti. Dopo alcuni anni di insegnamento nella facoltà ecclesiastica di Frisinga, l’approdo agognato all’università di Stato avvenne nel 1959 con una chiamata da parte della facoltà di teologia cattolica dell’università di Bonn, all’epoca la capitale della Germania federale. Secondo la testimonianza di uno dei primi allievi, al suo apparire, Ratzinger giovanissimo, con in testa l’immancabile basco, sembrava il secondo o terzo vicario di una grande parrocchia della città. Era, invece, il nuovo professore ordinario di teologia fondamentale che subito si impose con il suo modo di insegnare.

Nella prima lezione magistrale dal titolo «Il Dio della fede e il Dio dei filosofi», il giovane professore esponeva in sintesi il suo pensiero: la filosofia tende alla comprensione del mondo nel quale l’ uomo è chiamato a vivere, la teologia, invece, secondo la parola dei salmi, è alla ricerca del volto di Dio che all’uomo ha rivolto la sua parola. Le finalità sono diverse e nello stesso tempo convergenti, perché Dio come creatore è all’origine del mondo. Per questo le due discipline sono destinate a incontrarsi, e nessuna può mai dire di aver raggiunto in via definitiva la propria meta. La lezione di Ratzinger ebbe un successo che andò al di là della cerchia pur autorevole dell’ università. Di conseguenza l’accademia di Bensberg invitò il professore di Bonn a tenere una conferenza sulle prospettive del Concilio da poco annunciato da san Giovanni XXIII. Con autorevolezza Ratzinger riuscì a mettere in risalto il positivo che poteva derivare da un’assise nella quale Papa e vescovi non dovevano entrare in competizione, bensì dare insieme testimonianza di comunione al servizio dell’annuncio del Vangelo. Alla conferenza di Bensberg, era presente l’arcivescovo di Colonia, l’autorevole cardinale Josef Frings, che rimase talmente colpito da scegliere il professore bavarese come suo esperto per il prossimo Concilio. Nell’immediato Ratzinger doveva leggere i testi preparatori e dare il suo giudizio, poi doveva accompagnare il cardinale a Roma. Dopo gli anni di preparazione, cardinale ed esperto arrivarono nella capitale italiana per l’inaugurazione del Concilio segnalandosi entrambi per una partecipazione incisiva e nello stesso tempo responsabile. L’apporto di Ratzinger fu decisivo nel dare un’impostazione personalistica alla costituzione sulla Divina Rivelazione. Diede inoltre un contributo significativo alla costituzione sulla Chiesa, in particolare alla definizione del collegio apostolico e della natura sacramentale dell’ordinazione episcopale. Altri documenti alla cui elaborazione Ratzinger prese ugualmente parte sono il decreto sulle missioni e la costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Partito come uno dei più decisi innovatori, già durante le ultime due sessioni del Vaticano II, Ratzinger divenne più cauto e responsabile nei suoi giudizi. Avvertiva con preoccupazione, come scrisse in Introduzione al Cristianesimo, il rischio che si perdessero per strada il contenuto della fede e la fiduciosa disposizione del credente. Di qui il distacco dalla rivista Concilium e la fondazione, insieme ad Henri de Lubac e Hans Urs von Balthasar, di una nuova rivista teologica, Communio.

Proseguiva intanto la carriera universitaria che da Bonn lo portò a Munster, di qui a Tubinga, dove esplose con virulenza il fenomeno della contestazione. Egli reagì accettando un incarico a Ratisbona, una università meno prestigiosa nella quale, però, ritrovò il tempo e la gioia di dedicarsi nuovamente alla teologia. Qui scrisse un altro dei suoi libri ancora insuperati: Escatologia. Morte e vita eterna, che rispondeva con sapienza e chiarezza alle domande sulla vita futura. A Ratisbona egli pensava di stabilirsi definitivamente, ma non era questa la volontà di Dio. Nel 1976 venne improvvisamente a mancare l’arcivescovo di Monaco, il cardinale Julius Dupfner. Non era facile all’epoca trovare un successore a un cardinale tanto amato. Per volontà esplicita dell’anziano Paolo VI la scelta si orientò verso Ratzinger, conosciuto e stimato a Roma per la sua partecipazione al Concilio e alla Commissione Teologica Internazionale (Ratzinger venne ordinato vescovo il 28 maggio 1977 ndr).

Il passaggio dalla cattedra del professore a quella del vescovo portò una svolta decisiva nella vita del teologo. Scelse come motto episcopale “Collaboratori della verità” perché spiegava: «Pur con tutte le differenze si trattava e si tratta sempre della stessa cosa, seguire la verità, porsi al suo servizio». Al centro del suo ministero pose la cura per la liturgia che voleva nella linea degli insegnamenti conciliari. Aggiungeva, tuttavia: «Culmine e fonte della vita cristiana, la liturgia eucaristica domenicale ora come sempre si basa sulla fede nella Risurrezione di Gesù, essa non può essere il luogo di sperimentazioni arbitrarie».

Sempre in campo liturgico il cardinale dedicava grande attenzione alla predicazione e raccomandava identica cura ai suoi sacerdoti. Essi non parlano a nome proprio ma come rappresentanti della Chiesa e sono tenuti ad attenersi alla Sacra Scrittura e agli insegnamenti del Magistero come punto di partenza di ogni predicazione cattolica. Pari attenzione egli dedicava anche ai fedeli per i quali richiedeva stima e rispetto. Non si può pretendere che essi cambino repentinamente spiritualità, non si può disprezzare la devozione popolare che veicola fede e sapienza. Attento alla vita spirituale della sua diocesi, Ratzinger sapeva che, come vescovo, era responsabile anche della Chiesa universale. In questo spirito partecipò nel 1978 al Conclave che, con svolta clamorosa, portò all’elezione di Giovanni Paolo II; fu relatore al Sinodo sulla famiglia del 1980; prese parte al primo incontro della commissione di dialogo tra cattolici e ortodossi istituita per volontà del patriarca Demetrio I e di Giovanni Paolo II.

Nel 1981 arrivava una nuova svolta che l’arcivescovo annunciava ai suoi fedeli con le parole: «Non è stato facile per me decidere. Il Papa mi vuole a Roma». Il compito che l’attendeva in Vaticano non era semplice: prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, seguendo le indicazioni emerse al Concilio voleva favorire gli studi miranti a far crescere l’intelligenza della fede per dare delle risposte ai problemi del mondo contemporaneo. A questo scopo si riproponeva di mettersi all’ascolto dei vescovi e dei teologi. Questo non gli impedì, tuttavia, di pubblicare nel 1984 un severo rapporto sulla situazione della Chiesa. Avendo perso fiducia nelle proposte della tradizione, alcuni teologi facevano propria l’ analisi marxista del mondo e della storia. Ne derivavano, per il cardinale, alcuni postulati che per i cristiani sono inaccettabili: la lotta di classe presentata come inevitabile, l’accettazione della violenza.

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