Uccide la figlia disabile e si suicida: cosa ci dice la tragedia di Corleone
La figlia di Lucia Pecoraro, 78 anni, aveva una forma di autismo. La donna si era trovata ad accudirla da sola, in seguito alla morte del marito otto mesi fa

Abbiamo trovato, negli anni, parole che sono diventate purtroppo necessarie: “femminicidio” ha dato nome a un fenomeno che spesso rimaneva indistinto, se non persino negato. Ma per l’omicidio di Giuseppina Milone, 47 anni, non esiste un termine. Eppure, con tutta probabilità, è stata uccisa a causa della sua disabilità, una forma di autismo. La madre, Lucia Pecoraro, 78 anni, l’ha strangolata ieri mattina con una corda. «Subito dopo la morte del marito – otto mesi fa – i servizi sociali del Comune si erano attivati per intraprendere un percorso di assistenza, e la signora era ben seguita anche dai familiari. Si era concordato un percorso graduale», spiega Walter Rà, il sindaco di Corleone, in provincia di Palermo . «La situazione sembrava sotto controllo, ma nelle ultime settimane erano insorte anche grosse difficoltà deambulatorie».
Una tragedia che si aggiunge a un elenco di cui nessuno tiene il conto, e che pure esiste: nel Modenese, lo scorso ottobre, due omicidi-suicidi in quattro giorni, in entrambi i casi la vittima era una moglie affetta da una malattia neurodegenerativa; nel Lodigiano, a luglio, un uomo di 89 anni ha ucciso la moglie con disabilità prima di tentare il suicidio; ancora nel Modenese, ad aprile, un anziano ha ucciso la moglie malata e il figlio disabile, togliendosi poi la vita.
Basterebbe poco per proseguire l’elenco con storie simili. Sono violenze che non trovano giustificazione. Ma impongono, almeno, una domanda: che cosa stiamo lasciando sulle spalle delle famiglie? In Italia i caregiver familiari sono circa sette milioni: persone che ogni giorno si prendono cura di un parente con disabilità o non autosufficiente. E mentre la popolazione invecchia – già oggi il 24% degli italiani ha più di 65 anni – le famiglie diventano più piccole. Un esercito che sorregge come pilastri invisibili il sistema di welfare italiano. Guardando i dati, il peso diventa più evidente: il valore del lavoro di cura non retribuito è equivalente a circa il 26% del Pil nazionale. Sono oltre 60 miliardi di ore dedicate alla cura di parenti, figli e anziani: un carico che è sostenuto per il 71% dalle donne. «Non possiamo continuare a lasciare famiglie intere affidate spesso solo alla loro resistenza emotiva, certe tragedie non esplodono, maturano nel silenzio», sottolinea lo psicologo e psicoterapeuta Giuseppe Lavenia. E aggiunge: «Questa tragedia ci ricorda quanto quel carico, se lasciato sulle spalle di una sola persona, possa diventare insostenibile. La fragilità non è una colpa. E noi, come società, abbiamo il dovere di ascoltare quel silenzio prima che diventi irreversibile».
Le risposte che arrivano dalla politica non fanno ben sperare. Il disegno di legge sui caregiver, atteso da anni, delude le associazioni. Le risorse sono esigue: 1,15 milioni nel 2026 e 250 milioni annui dal 2027. E i criteri sono tanto stringenti da restringere drasticamente la platea degli aventi diritto. L’indennità massima arriva a poco più di 10 euro al giorno per chi assiste una persona con disabilità grave per almeno 91 ore alla settimana, con un Isee inferiore a 15.000.
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