«Tardi ti amai...»: desideriamo davvero Dio che viene?

In un contesto in cui gli algoritmi moltiplicano le possibilità ma frammentano la direzione, l’Avvento ci offre l’occasione di una salutare pulizia interiore del nostro desiderio. Imparando a riconoscere, con sant’Agostino, ciò che ci impedisce di vedere il Signore che viene
December 6, 2025
«Tardi ti amai...»: desideriamo davvero Dio che viene?
La Natività in piazza Municipio a Napoli/ Foto Ansa
Prosegue, dopo l’esordio di domenica scorsa, il nostro viaggio di Avvento insieme a sant’Agostino. Nelle domeniche del tempo che conduce al Natale ci guida in questo percorso Paola Muller, studiosa di filosofia medioevale all’Università Cattolica e in particolare del Padre della Chiesa centrale nel magistero di papa Leone un tempo che ci richiama al risveglio. In questa vigilia dell’Incarnazione Agostino ci propone di vincere il «sonno del cuore» – la nostra distrazione interiore nel tempo della iper-connessione – per una ritrovata consapevolezza di noi stessi. Ogni contributo della professoressa Muller esplora un aspetto di questo risveglio in un esercizio concreto di interiorità. Perché l’Avvento, se preso sul serio e per mano a un grande maestro, può davvero convertirci.
«Voglio parlare di questa attesa paziente, che è un dono di Dio» (Discorso 359A, 2), scrive sant’Agostino. Parole antiche, ma la loro forza risuona ancora oggi, nell'epoca dell'istantaneo, in cui l'attesa è spesso percepita non come un'opportunità, ma come un ostacolo. Agostino ci pone una domanda radicale: sappiamo ancora desiderare? Sappiamo ancora attendere?
L’Avvento ci educa a una forma diversa di attesa. Non è un vuoto da colmare o un tempo da velocizzare, ma un luogo interiore da dilatare. Per Agostino il desiderio non è un istinto da mortificare: è la spinta stessa della vita spirituale. È il cuore che si tende verso il Bene, l’energia che ci solleva e ci mette in movimento. Non va soppresso: va purificato.
Il desiderio, per Agostino, è il respiro dell’anima. «Il tuo desiderio continuo sarà la tua continua voce. Tacerai se cesserai di amare» (Esposizione al Salmo 37,14).
L’Avvento diventa allora una palestra del cuore, un esercizio quotidiano che non mira a reprimere, ma a orientare, non a possedere, ma a lasciare spazio. Il vero problema, suggerisce l'Ipponate, non è desiderare, ma desiderare troppo poco.
La pedagogia dell’Avvento va dritta al centro di un equivoco che ci portiamo dentro: l’idea che siamo noi ad aspettare Dio. Agostino rovescia la prospettiva: «Attendilo, come Lui ha atteso te» (Discorso 40,1).
È Dio il primo ad attendere: attende il nostro ritorno, la nostra libertà, la nostra disponibilità a lasciarci amare. L'attesa cristiana si rivela come partecipazione a un dialogo, a una relazione reciproca in cui l'uomo e Dio si incontrano nella dinamica del desiderio.
Ma quale desiderio abita oggi il nostro cuore? In un contesto culturale che moltiplica le possibilità ma frammenta la direzione, in cui siamo costantemente stimolati ma raramente interpellati, l’Avvento ci offre l'occasione di una salutare pulizia interiore.
È un invito deciso a rallentare: in un tempo in cui l’algoritmo anticipa i nostri gusti, le notifiche annullano i vuoti, il gesto più difficile è lasciar maturare un’attesa.
Agostino suggerisce una via semplice: riconoscere ciò che impedisce di vedere il Signore che viene. Non tutti i desideri hanno lo stesso peso: alcuni illuminano, altri distraggono; alcuni costruiscono, altri consumano.
Il discernimento diventa allora la prima forma di libertà.
L’Avvento parla una lingua controcorrente. Ci chiede di tornare a gustare il valore dell’attesa: come capacità di progettare, come gusto del cammino, come arte del tempo presente.
Per Agostino attendere significa «protendersi fuori di sé», ad-tendere. Questo protendersi trova nella preghiera il suo luogo più vero: «Sia dinanzi a lui il tuo desiderio; ed il Padre, che vede nel segreto, lo esaudirà. Il tuo desiderio è la tua preghiera; se continuo è il desiderio, continua è la preghiera» (Esposizione al Salmo 37,14).
Nel desiderio si intrecciano due movimenti: l’uomo tende verso ciò che Dio promette e Dio dilata il cuore dell’uomo rendendolo capace del suo dono. Agostino lo esprime con intensità: «Con l'attesa, Dio allarga il nostro desiderio; col desiderio allarga l’animo e, dilatandolo, lo rende più capace» (Commento alla Prima lettera di Giovanni, 4.6).
Ecco perché definisce la vita cristiana «un esercizio del desiderio»: un allenamento costante a desiderare il Bene, a non accontentarsi, a non rimpicciolire il cuore. È una pratica che richiede disciplina e metodo. Agostino ci consegna due elementi fondamentali per viverla autenticamente: tenere gli occhi della fede ben attenti alla Sacra Scrittura, e pregare incessantemente. La lettura orante della Parola e la preghiera continua nutrono e sostengono il desiderio. Il desiderio stesso diventa preghiera, respiro dell'anima che non si interrompe.
Il desiderio di Dio non si esaurisce mai. È come una sorgente che, più si attinge, più sgorga. Questo paradosso è scolpito nelle parole delle Confessioni: «Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti amai!» (X, 27.38).
Chi trova Dio non smette di cercarlo, perché l’incontro non chiude la ricerca, ma l’amplifica. L’Avvento non è solo un tempo liturgico: è la forma stessa dell’esistenza cristiana, che vive tra una venuta già accaduta, quella dell'Incarnazione, e una venuta attesa, quella definitiva della Parusia. Questa tensione non è mancanza, ma pienezza dinamica. L'attesa cristiana è tensione vitale che dà forma e significato al presente.
L’uomo porta in sé una nostalgia, un desiderio di assoluto, di eterno, di infinito che nessuna esperienza finita può colmare.
L’Avvento ci educa a riconoscere questa nostalgia e a darle un nome. È un tempo in cui la Chiesa non ci chiede di fare di più, ma di tornare a fare meglio: attenzione a ciò che viviamo, capacità di custodire le relazioni, sguardo capace di riconoscere la presenza discreta del Signore.
Questo tempo liturgico rallenta il ritmo, ci invita ad accettare anche i “tempi morti”, a risignificare quei momenti che ci sembrano di secondaria importanza: il tempo per la cura della casa, per l’ascolto, per la dedizione a un malato. L'Avvento ci richiama all'attenzione: fare attenzione a ciò che viviamo, alle persone con cui entriamo in relazione, alla presenza discreta eppure verissima del Signore.
In una società che teme il silenzio, l’Avvento ci chiede di riconoscere il valore del tempo lento, dell’ascolto, della cura. È un invito a sottrarre l’anima alla logica della prestazione e a restituirla a quella della relazione.
Saper attendere, in fondo, significa puntare lo sguardo su ciò che davvero conta, tornare a essere protagonisti della propria storia e riconoscerle un peso, un valore. È accorgersi che esiste una ragione profonda – più grande di noi – capace di illuminare non solo l’attesa, ma anche l’intero cammino.
L’Avvento ci insegna che il tempo non è un ostacolo, ma un alleato: il luogo in cui Dio opera in noi. Ecco perché è un tempo di grazia. Ci invita ad alzare lo sguardo, a riconoscere che una stagione nuova può sempre aprirsi, anche nella vita più stanca.
L’esperienza di Agostino – la sua inquietudine che diventa ricerca, la sua ricerca che diventa preghiera, la sua preghiera che diventa incontro – può diventare anche la nostra. «Balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità» (Confessioni X, 27.38).
In un mondo di luci artificiali che spesso abbagliano ma non illuminano, la luce dell’Avvento torna a sciogliere le nostre cecità interiori. Desiderio e speranza si intrecciano. E la loro voce è la preghiera. Chi prega desidera, e chi desidera davvero spera. Ecco perché l’Avvento è il tempo di una preghiera più intensa, che allarga il cuore e lo rende capace del dono che Dio vuole fare.
È il tempo per educare il desiderio e orientarlo verso l’infinito. È il tempo per scoprire che l’attesa non è un vuoto ma una pienezza che cresce. Tempo per riaprire il cuore all’unico desiderio che davvero ci compie: l’incontro con Colui che è venuto, che viene ogni giorno, e che verrà nella gloria.

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