La Germania ha trovato una soluzione alla crisi: investire
Una spesa da 300 miliardi in tecnologia, ricerca e clima. E le previsioni per i prossimi anni vedono già il Pil in ripresa. Un esempio per tutti?

L’arrivo dei risultati della missione dell’Fmi e le previsioni autunnali della Commissione europea rappresentano un primo test significativo – e sorprendentemente positivo – per la svolta di politica economica della Germania. Dopo due anni di recessione e un 2025 atteso quasi piatto, Bruxelles stima per il 2026 una crescita dell’1,2%, mentre l’Fmi assegna un 1% tondo, destinato a salire all’1,5% nel 2027. Numeri che segnalano l’inizio di un ritorno in scena dell’economia tedesca. È presto per parlare di «locomotiva», ma il cambio di paradigma è evidente. Travolta da choc esterni – guerra, energia, dazi americani, rallentamento cinese, crisi dell’auto – Berlino ha scelto l’unica via possibile: ribaltare l’ortodossia del rigore che per anni ha applicato a sé e imposto all’Europa. Nel marzo scorso ha perfino modificato la Costituzione per superare il «freno al debito», aprendo la strada a un fondo di investimenti pubblici da 500 miliardi in dodici anni. È, di fatto, un grande programma keynesiano: 300 miliardi in infrastrutture, 100 nel fondo Ktf per energia e clima, 100 ai Länder. L’Fmi è esplicito: queste risorse «stimoleranno una graduale ripresa economica» con investimenti capaci di dare «un impulso alla crescita».
Le valutazioni dei centri di ricerca tedeschi sono persino più ottimistiche. Il Diw stima per il 2026 una crescita dell’1,7% generata dalla sola spesa civile, e calcola in due punti aggiuntivi di Pil all’anno lo stimolo del piano sul prossimo decennio, al netto della difesa. Anche l’Ifw di Kiel colloca il pacchetto tra i driver principali della nuova ripresa. Persino i «Cinque saggi», storici custodi dell’ortodossia tedesca, nella presentazione del rapporto annuale davanti al cancelliere Merz, hanno dovuto prendere atto della svolta: crescita allo 0,9% nel 2026 e, soprattutto, un richiamo al governo affinché impieghi i fondi in veri investimenti aggiuntivi, non in spesa corrente. Un riconoscimento implicito dell’utilità del piano, e un segnale politico: il dogma del rigore è stato superato.
Resta aperto il nodo della difesa. Se la ripresa venisse «barattata» con un’accelerazione del riarmo, sarebbe un gioco a somma negativa. E l’opinione pubblica tedesca lo sa: gli ultimi sondaggi mostrano una maggioranza contraria a un aumento delle spese militari a scapito del welfare e dei servizi. Ma, come ricordano Diw e altri istituti, la crescita aggiuntiva è realistica anche senza espandere il bilancio della difesa. Il nuovo modello tedesco sta inoltre offrendo spazio a misure di riequilibrio strutturale e riduzione delle diseguaglianze: i «Cinque saggi» sostengono una riforma dell’imposta di successione – con una riduzione delle franchigie – e chiedono di rafforzare gli investimenti privati con sgravi fiscali e ammortamenti accelerati, linee subito fatte proprie da Merz in un’agenda incentrata sul miglioramento del clima d’investimento. In un’Europa che si polarizza, la Germania sorprende per pragmatismo e capacità di cambiare rotta quando necessario. Nel 2026 il Paese avrà un deficit attorno al 4% e un debito al 65,2% del Pil: livelli gestibili. Se gli investimenti in tecnologie, ricerca e transizione climatica riusciranno a compensare il rallentamento dell’export verso Stati Uniti e Cina, il nuovo modello tedesco potrebbe diventare un esempio di risveglio economico continentale. La Germania resta la Germania. Ma, questa volta, una Germania che ha scelto di cambiare.
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