Sul lavoro in Italia il bicchiere è mezzo pieno (o vuoto?)
Occupazione ai massimi storici a ottobre, ma non tra i giovani. E l'Ocse segnala: ridurre le tasse sul lavoro, non sulla casa

Gli ultimi dati sul lavoro in Italia pubblicati martedì dall’Istat, aggiornati al mese di ottobre, sono l’esempio perfetto di un bicchiere che può essere giudicato mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda dei punti di vista e delle parti in commedia. Come Cinzia Arena ha scritto su Avvenire, il Governo ci vede la conferma di un percorso di progressivo consolidamento, con il record storico di 24,2 milioni di occupati, e non si può dargli torto. L’opposizione, i sindacati (Cisl compresa) con sfumature e attenzioni diverse denunciano la persistenza di alcune debolezze strutturali, e hanno altrettanto ragione. Soprattutto quando si guarda alle differenze tra giovani, adulti e adultissimi: rispetto a un anno fa, gli occupati sono calati sia tra gl i under24 (108mila in meno), tra i 25-34enni (-51mila) e tra i 35-49enni (-100mila), e a conferma della sfiducia che contraddistingue in particolare le due fasce più giovani c'è l'aumento complessivo di 219mila unità tra gli inattivi, cioè chi si chiama fuori dal mercato del lavoro. Scenario opposto tra gli over 50, dove rispetto a un anno fa si contano 483mila occupati in più e 258mila inattivi in meno. In controluce emerge la solita fotografia di un Paese in cui i problemi di lavoro sono più di tipo qualitativo che quantitativo (e dunque di produttività), e di un mercato occupazionale a misura di over50 prigioniero di un circolo vizioso: non a caso, i dati relativi agli under 34 segnalano un deterioramento anche al netto della componente demografica. Senza contare poi il lento ma inesorabile indebolimento dei salari, certificato in settimana dalla Fondazione Di Vittorio della Cgil: rispetto al 2022 le retribuzioni reali sono più basse dell'8,8%, un dato che penalizza fiducia e consumi.
Bene ma non benissimo, dunque. Per intervenire sulla qualità del lavoro e sulla capacità di stimolare e non far scappare i giovani talenti servirebbero interventi di sistema, quelle solite riforme coraggiose e costose che chi governa fatica ad affrontare, di qualunque parte sia. Un esempio? Tassare meno il lavoro e di più le case, come ha suggerito proprio martedì un osservatore d'eccezione come l'Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo: nel capitolo dedicato all’Italia dell’Economic Outlook ha sottolineato anzitutto come il Paese debba portare «avanti il consolidamento fiscale, anche mantenendo politiche volte a contenere la spesa pensionistica». Questo, secondo gli esperti dell’Ocse, sarà necessario per iniziare a ridurre il peso del debito pubblico, contenere i costi per interessi e affrontare le sfide di lungo periodo legate all’invecchiamento, alla transizione climatica e all’aumento della spesa per la difesa. Mentre la mini legge di bilancio è subito inciampata su un micro ritocco dell'Irpef, l'Ocse suggerisce di rimettere pesantemente mano al sistema fiscale, «migliorando ulteriormente la capacità di riscossione e spostando il carico fiscale dal lavoro alla proprietà immobiliare». Ce la faremo? Difficile, quasi impossibile viste le reazioni destate anche solo dal tentativo di alzare il prelievo sugli affitti brevi. E pensare che ne varrebbe la pena. Anche perché, come ha riconosciuto la stessa organizzazione rigorista per definizione, di solo rigore non si può vivere per sempre. Neanche in Italia, di cui peraltro si riconoscono i significativi passi avanti sulla messa in sicurezza dei conti.
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