Chailly e Šostakovič: la Prima della Scala fa tremare il potere

Intervista al direttore che inaugura la stagione della Scala portando in scena "Una Lady Macbeht del distretto di Mcensk": «Una tragedia satirica»
December 6, 2025
Chailly e Šostakovič: la Prima della Scala fa tremare il potere
«Cronaca. E tragica. Nessuna finzione». Perché Una lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Šostakovič potrebbe essere il drammatico reportage in presa diretta di una della tante, troppe, storie, che macchiano (quotidianamente) di sangue pagine di giornali e programmi tv che raccontano la cronaca. Storia di una donna, Katerina Ismajlova, che uccide il suocero che voleva abusare di lei avvelenandolo con un piatto di funghi. Che incita l’amante a uccidere il marito. E che poi, deportata, si uccide trascinando con sé nella morte Sonetka, la nuova amante del suo Sergej. Così per Riccardo Chailly Una lady Macbeth del distretto di Mcensk è «assolutamente cronaca, nessuna finzione. È un’opera tragica, una tragedia satirica. Impone una tolleranza di ascolto per la convivenza di questi due elementi che tornano continuamente, si rincorrono e si scontrano».
L’opera di Dmitrij Šostakovič domani sera inaugura la nuova stagione del Teatro alla Scala. Regia del russo Vasilij Barkhatov, protagonista, nei panni di Katerina Izmajlova, Sara Jakubiak. Titolo bellissimo, ma di raro ascolto, mai stato in cartellone il 7 dicembre, quello del compositore scomparso nel 1975. «Omaggio doveroso, a cinquant’anni dalla morte, questa Lady Macbeth inaugurale» dice il direttore d’orchestra milanese. Ultimo Sant’Ambrogio da direttore musicale scaligero per Chailly che il prossimo anno passerà il testimone a Myung-Whun Chung, che dal 1º gennaio 2027 sarà il nuovo direttore musicale del teatro – in scena, il 7 dicembre 2026, ci sarà Otello di Giuseppe Verdi con la regia di Damiano Michieletto, protagonisti Brian Jagde, Eleonora Buratto e Luca Salsi. «Ma il mio percorso scaligero, iniziato nel 1978 con i verdiani Masnadieri non si chiude: dopo il Nabucco del prossimo maggio affronterò altri titoli del grande repertorio italiano e proseguirò nel percorso nella musica russa», anticipa il direttore che già per il Sant’Ambrogio 2022 aveva scelto di inaugurare la stagione scaligera con una pagina russa, il Boris Godunov di Modest Musorgskij. «Ero quasi tentato di proporre l’orchestrazione che dell’opera fece Dmitrij Šostakovič, ma poi scelsi la prima versione del Boris. Così come oggi scelgo la prima stesura della Lady Macbeth».
Perché, maestro Chailly, questo titolo? E perché questo autore. Solo per celebrare i cinquant’anni dalla sua scomparsa?
«Non è solo un atto di coraggio, ma un atto dovuto metterla sul leggio di questo 7 dicembre. Bisogna che Una lady Macbeth del distretto di Mcensk recuperi il tempo perduto a causa delle implicazioni ideologiche che portarono alla censura nel 1936 di uno dei capolavori musicali del Novecento. Una partitura gigantesca, andata in scena nel 1934 quando l’autore aveva ventotto anni. Dentro c’è già tutto Šostakovič, c’è tutto quello che sarà il suo percorso successivo e che si svilupperà fino alla Sinfonia n.15 in la maggiore e alla Suite su versi di Michelangelo Buonarroti. È come uno scrigno di tesori preziosi al quale attingere per comprendere tutta la parabola artistica del compositore. La scrittura è mostruosamente sconvolgente, tanto più se pensiamo che Šostakovič quando iniziò a lavorare alla partitura aveva solo ventiquattro anni. E per dire una volta di più la grandezza di questa pagina ho voluto sul leggio la versione con il libretto originale, quello di Alexander Prejs tratto dal racconto omonimo di Nikolaij Leskov, che poi lo stesso Šostakovič ammorbidì, per smussarne crudezza e violenza. E mentre le parole che si ascolteranno saranno quelle originali, lo spirito dello spettacolo di Vasilij Barkhatov è profondamente rispettoso della seconda versione della Lady Macbeth, quella dove l’autore ha sfumato i toni, con le scene scabrose presenti, ma non esibite».
Andare alle fonti caratterizza da sempre il suo lavoro musicale, perché è importante andare alle origini anche della Lady Macbeth?
«La scrittura di Šostakovič è coraggiosa nel rifiutare la dodecafonia in un contesto nel quale Arnold Schönberg stava spopolando. Ne esce un linguaggio ardito che rende l’ascolto sicuramente impegnativo tanto più che l’opera si articola in un continuo incontro-scontro di politonalità, con momenti sublimi e altri dominati da una musica impetuosa, con ritmi complicatissimi. Dentro ci sono la tragedia, la satira e il grottesco. Penso alla seconda romanza di Katerina, prima che lei decida di uccidersi. Alla fine di questa pagina, straziante, intensissima, si insinua una musica che sembra quasi presa da un’operetta di Jacques Offenbach. Il teatro musicale di Šostakovič è modernissimo, ha una carica innovativa molto potente. E la Lady Macbeth è una partitura con momenti di musica sublime. La Passacaglia che Šostakovič scrisse dopo aver ascoltato il Wozzeck di Alban Berg verrà presa come modello da Benjamin Britten per il suo Peter Grimes. E sempre nella seconda romanza di Katerina si sente l’ultimo Gustav Mahler, quello del Canto della terra».
Nonostante questo la censura del regime di Stalin si abbatté sull’opera, con il famoso articolo della “Pravda” intitolato "Caos invece che musica".
«Un episodio che segnò profondamente la vita di Šostakovič, che decise di chiudere in un cassetto il progetto di una trilogia sulla donna russa. La storia di Katerina, umile e di un ceto sociale basso, doveva essere il primo di tre capitoli che avrebbero poi raccontato in musica la donna borghese e la donna nobile. Lo shock politico per la censura subita spinse il compositore ad accantonare per sempre il progetto. E di fronte alla potenza di Una lady Macbeth del distretto di Mcensk è ancora più grande il rammarico di aver perso quella trilogia».
Come mettersi in ascolto di questa musica? Certo più difficile rispetto a un Verdi nazionalpopolare. Tanto più che anche quest’anno ci sarà la diretta su Rai1.
«Come ogni volta che ci si accosta ad un’opera, anche la più conosciuta, occorre prepararsi con ascolti e letture. Ma l’atteggiamento migliore è quello di affidarsi alla modernità del linguaggio, di farsi sedurre dalla bellezza della scrittura di Šostakovič. L’opera è difficile, scomoda, allusiva, provocatorie violenta, ma di una forza teatrale unica, capace di comunicare e coinvolgere».
Non c’è il rischio di essere assuefatti alla violenza che ogni giorno ci viene gettata addosso dalla cronaca e che c’è anche in quest’opera?
«Katerina è la quarta vittima, è vittima della situazione sociale in cui vive. Gli omicidi che compie sono indotti dal contesto che la circonda. Certo, non va giustificata. Ma in noi ascoltatori scatta una sorta di identificazione. Sappiamo che è colpevole, ma siamo soggiogati dalla sua grande capacità di amare, un amore che poi Sergej tradirà».
Dopo il Boris Godunov dell’inaugurazione del 2022, un altro titolo russo per il 7 dicembre. Il Codice dello spettacolo che il ministero sta elaborando chiede più spazio per il repertorio italiano…
«Ho sempre frequentato titoli italiani, lo dicono le tante inaugurazioni con Verdi e Puccini. Ma proprio alla Scala ho intrapreso un percorso sul teatro russo che mi ha visto dirigere La fiera di Sorocincy di Modest Musorgskij, il Rake’s progress di Igor Stravinskij, L’Angelo di fuoco di Sergej Prokof’ev e, appunto, il Boris Godunov. La valorizzazione del nostro patrimonio musicale deve andare di pari passo con la proposta dei grandi capolavori del Novecento e Una lady Macbeth del distretto di Mcensk è senza dubbio uno di questi».

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