Il Teatro della Tosse e la poesia come resistenza
di Fulvio Fulvi
Comunicare a tutti quella bellezza che salva il mondo, trasformando la città in un palco: è lo scopo del teatro genovese che compie mezzo secolo

Portare sulla scena, con storie oblique e dissacranti, guardie e ladri, grassi e magri, santi e peccatori coinvolgendo, come spettatori attivi, adulti e bambini, impiegati e operai, professori e studenti, famiglie e comunità. Incrociare e connettere col gioco degli opposti per comunicare a tutti quella bellezza, spesso nascosta, che salverà il mondo: ecco lo scopo del Teatro della Tosse di Genova che quest’anno compie mezzo secolo di vita. È il palcoscenico inteso come resistenza poetica, esperienza culturale condivisa, alternativa e controcorrente ma mai ideologica né fine a se stessa. Non a caso la Compagnia ha scelto come simbolo il panciuto Ubu re per rappresentare il grottesco e il surreale, i due generi preferiti che si esprimono soprattutto (ma non esclusivamente) con l’uso di maschere e costumi per deformare volti e corpi e rendere gesti e movimenti ridicoli, esagerati, trasgressivi.
«Mio padre Tonino mise in scena Ubu re di Alfred Jarry nel 1968, l’anno della mia nascita (mia madre assisteva alle prove che era incinta di me) e poi lo riportò al Teatro della Tosse che aveva appena contribuito a fondare, nel 1975: da allora Ubù, come lo chiamiamo noi, ci ha protetto come un santino irriverente, è un nume tutelare che per noi vuol dire ironia, libertà e anarchia» sottolinea Emanuele Conte, da diciotto anni presidente della Fondazione Luzzati che gestisce questa realtà culturale che ha valicato ormai i confini della Superba conquistando una caratura internazionale per le produzioni (che fanno anche tournée) e le proposte nei cartelloni estivi e invernali.
Lo spettacolo Ubù re scatenato di Jarry (il padre delle avanguardie teatrali del Novecento), per la regia dello stesso Federico Conte, ha aperto, dal 16 al 26 ottobre, in prima nazionale, le celebrazioni per il cinquantenario e il prossimo 17 dicembre sarà inaugurata a Palazzo Ducale di Genova la mostra “50 anni di Teatro della Tosse” (visitabile fino al 25 gennaio 2026), curata da Paolo Giovanni Bonfiglio e Alessio Aronne, un allestimento che comprende video immersivi, fotografie, oggetti di scena, costumi, e travestimenti virtuali in cui gli spettatori, oltre a ripercorrere la storia di questo teatro genovese, potranno impersonare Padre Ubù e consorte, i due eroi che lo rappresentano. «Il nostro teatro, attraverso una macchina del tempo senza tempo, solleva questioni, dubbi e domande, evitando la ricerca demagogica di facili risposte - spiega Conte -, finora abbiamo saputo tossire contro l’ipocrisia che segna i giorni di oggi e continueremo a farlo». «Il pulsare dei corpi in movimento, il fluire delle parole e di senso-dissenso in quello spazio nero e vuoto, nutrono e trasformano vicendevolmente sia chi fa sia chi ascolta e guarda – dice il direttore artistico, Amedeo Romeo – e noi non abbiamo mai dimenticato che il teatro è la casa dell’imprevedibile».
Le prime origini della Tosse risalgono, in realtà, ai primi anni Cinquanta quando in una sala chiamata Borsa di Arlecchino, il regista Aldo Trionfo e un gruppo di giovani attori che «volevano affrancarsi dal giogo del teatro ufficiale» incominciarono a scrivere e rappresentare testi teatrali sperimentali in uno scantinato del palazzo che un tempo ospitava la sala delle contrattazioni. Il primo repertorio pescava dalle opere di Beckett, Ionesco e Genet. A tirare le fila del gruppo, che ancora non aveva un nome, c’erano con Trionfo anche lo scenografo, costumista, animatore e illustratore Emanuele Luzzati, che diventò presto un punto di riferimento per tutti, e Antonio Conte, un direttore di scena di 26 anni che aveva imparato a fare teatro prima come attrezzista, poi come aiuto macchinista e trovarobe. A “Lele” e “Tonino” e agli attori, che per la maggior parte frequentavano l’università, si aggiunse per un breve periodo il ventiquattrenne Carmelo Bene, mentre qui cantava le sue prime canzoni Fabrizio De André e da Firenze arrivava anche Paolo Poli con i suoi monologhi. Poi Conte e Trionfo cominciarono a scrivere insieme testi teatrali destinati ai ragazzi per le produzioni dello Stabile di Genova e del Piccolo di Milano. E nel 1975, dopo aver trovato sedi provvisorie al manicomio di Quarto e in qualche cinema del centro e della periferia, il sodalizio rileva un vecchio spazio in un edificio fatiscente sulla Salita della Tosse, nel centro storico della città. «Nella sala, allora tra le macerie, c’erano i topi - racconta Amedeo Romeo, che è stato uno dei fondatori - ma facevamo spettacoli belli e la gente veniva e si divertiva». Nasce così una cooperativa e il nome scelto sarà quello che conosciamo oggi. In seguito, grazie all’intervento dello Stato e a un piano comunale di ristrutturazioni edilizie e con l’aiuto della facoltà di Architettura dell’università genovese, l’intera area urbana venne riqualificata. Oltre a Ubu Re, venivano rappresentati Svanevit di Strindberg, Gargantua di Rabelais e la Regina in Berlino di Sergio Tofano. Oscar Prudente e Ivano Fossati collaboravano per le musiche e le colonne sonore degli spettacoli. L’ossuto Pinocchio, contraltare di Ubu, è stato un altro protagonista delle produzioni, diventando un filone che si è affiancato a quello sul re ciccione della saga di Jarry. Gli spettacoli venivano allestiti anche all’aperto o in posti insoliti, a Forte Sperone, all’Ansaldo, alla Diga Foranea in porto, nel borgo di Apricale, nei parchi di Nervi, e avevano spesso il carattere di rappresentazioni itineranti «per raggiungere un pubblico più largo ed eterogeneo possibile, anche quello più estraneo al teatro tradizionale» precisa Emanuele Conte. Obiettivo raggiunto.
Oggi la produzione del Teatro della Tosse trova nuova linfa anche nella danza contemporanea e nel nouveau cirque, in eventi musicali, spettacoli di cabaret e laboratori di formazione al teatro e alla scenografia. È uno dei luoghi culturali più vivi della città e della regione. Le presenze del pubblico nel 2025 hanno superato quota 70mila.
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