«Svegliati, tu che dormi»: l'Avvento come riaccensione del cuore
di Paola Muller
Agostino distingue con chiarezza tra il sonno del corpo – necessario, benefico – e il sonno dell'anima, che rappresenta un autentico pericolo spirituale. Perché l'uomo, pur continuando a vivere, dimentica l'essenziale

Inizia con questo contributo di Paola Muller un viaggio che ci accompagnerà durante le quattro domeniche dell'Avvento (secondo il Calendario romano): un tempo che ci richiama al risveglio, a un movimento di attesa di Dio che entra nella storia. Il nostro tempo corre, ma la nostra attenzione è distratta: siamo iperconnessi e sempre attivi, ma spesso interiormente assopiti, dimentichi di ciò che fonda e riempie la nostra umanità. Occorre dunque togliere il "pilota automatico", recuperando vigilanza e lucidità, per tornare all'essenziale. Sant'Agostino ci offre la chiave: il «sonno del cuore» è la vera insidia, alla quale rispondere - una domenica dopo l'altra, fino a Natale - con una ritrovata consapevolezza di sé. Questa serie della studiosa di Storia della Filosofia medioevale in Università Cattolica punta a mostrare perché e come rimettere in azione la fede, alla scuola di un grande maestro come l'autore delle Confessioni. Ogni contributo esplorerà un aspetto del risveglio: memoria, presenza, silenzio, discernimento. Un esercizio concreto sull’interiorità. Perché l’Avvento, se preso sul serio, scuote e rinnova. Converte.
Siamo connessi ventiquattro ore su ventiquattro, bombardati da notifiche, sempre in movimento eppure profondamente distratti. Nel paradosso della nostra epoca – iperattivi, ma interiormente assopiti – risuona con forza il grido di San Paolo agli Efesini: "Svegliati, tu che dormi" (Ef 5,14). Con l'inizio dell'Avvento, la Chiesa invita i credenti a entrare in un tempo di attesa che non è passiva rassegnazione, ma esercizio di vigilanza interiore. Un risveglio del cuore che Sant'Agostino identifica con la condizione essenziale dell'esistenza cristiana. Per il vescovo di Ippona, l'appello paolino non è un rimprovero moralista, ma un invito cordiale e fermo a tornare desti. Agostino distingue con chiarezza tra il sonno del corpo – necessario, benefico, dono di Dio che ristora e sostiene – e il sonno dell'anima, che rappresenta un autentico pericolo spirituale. Questo "sonno del cuore" è una condizione in cui l'uomo, pur continuando a vivere, dimentica ciò che lo fonda. Dormire significa perdere contatto con l'essenziale, lasciarsi sommergere dal rumore, dalle preoccupazioni, dalle «occupazioni che ci riassorbono, ci trattengono» (Confessioni, X, 40.65) quotidianamente. Non è il sonno della notte, ma ciò che può accadere in pieno giorno, mentre si lavora, si parla, si corre da un luogo all'altro senza più interrogarsi su che cosa – e su Chi – stia al centro della propria esistenza.
Questa dimenticanza diventa terreno fertile per gli idoli. Chi dorme interiormente è come chi, nel sonno, scambia fantasmi per realtà. Così si comportano, per Agostino, gli idolatri: adorano ciò che essi stessi hanno costruito, incapaci di riconoscere il Creatore. La veglia spirituale nasce da un'illuminazione: è Cristo che desta l'anima e la rende capace di vedere. Senza la sua presenza, l'anima ricade nell'oscurità. Anche se la luce è già davanti a lei, non la percepisce, proprio come chi dorme di giorno: il sole splende, ma per chi dorme è come se fosse notte. «Con tutte queste lampade accese, facciamo veglia solenne contro il sonno del corpo», scrive, «ma contro quel sonno del cuore che è come la notte del secolo presente, noi stessi dobbiamo essere lampade accese» (Discorso 223K.1). Non fari abbaglianti che impongono la loro luminosità, ma piccole luci che attraversano la notte del tempo presente. Lampade che non provengono da sé stesse, ma che si lasciano alimentare dalla luce di Cristo; che non dissipano tutte le oscurità, ma impediscono al buio di diventare totale. Essere “lampade accese” significa testimoniare, con la vita più che con le parole, che la luce esiste ancora: nella fedeltà silenziosa, nella carità concreta, nella speranza ostinata, nel coraggio di non lasciarsi travolgere. Significa opporre al sonno del cuore – all’indifferenza, alla rassegnazione, al cinismo – la vigilanza di chi resta desto, di chi non smette di credere che il giorno è già sorto, anche quando molti non lo vedono. Agostino non chiede ai cristiani di cambiare il secolo, ma di non lasciarsene oscurare. Sollecita a non partecipare al sonno, ma a custodire una fiamma ed attraversare la notte: non per mezzo di clamori o gesti eccezionali, ma grazie a uomini e donne che, vegliando, diventano luce – e ricordano agli altri che la luce non si è spenta.
Commentando il passo del Vangelo in cui Gesù si assopisce sulla barca durante una tempesta (Mt 8, 23-27), Agostino offre un'interpretazione che diventa chiave per la lettura dell'intera esistenza credente. Il sonno di Cristo non è stanchezza, ma segno: rappresenta la fede assopita dell'uomo. «Se Cristo dorme in te, è perché ti sei dimenticato di lui» (Discorso 63.1). Non è dunque il Signore a mancare: è la memoria del cuore ad attenuarsi. E allora anche un insulto diventa un vento, un'irritazione si trasforma in tempesta, un desiderio di vendetta diventa minaccia di naufragio. La barca – figura della Chiesa ma anche dell'interiorità – rischia di affondare non perché priva del Salvatore, ma perché il credente non lo chiama, non gli permette di parlare. Il movimento decisivo non è verso l'esterno, ma verso l'interno: «Risveglia dunque Cristo» (Discorso 63.2), esorta Agostino. Come? Ricordandolo. Facendo spazio alla sua Parola. Lasciando che ritorni a essere criterio, luce, misura dei pensieri. Se il tema del sonno del cuore risuona con urgenza nell'epoca tardoantica di Agostino, non meno pressante appare nella nostra contemporaneità. Viviamo in quella che il filosofo Byung-Chul Han ha definito "società della stanchezza", in cui, paradossalmente, l'iperattività coincide con una profonda forma di disattenzione. Le notifiche continue degli smartphone, il flusso ininterrotto di informazioni sui social media, la moltiplicazione degli impegni creano una condizione di distrazione permanente. Il tempo si frantuma, l’attenzione si disperde, la presenza a sé stessi si assottiglia. «Divorando il tempo e divorati dal tempo» (Confessioni, IX, 4.10), commenterebbe l’Ipponate. Siamo costantemente "svegli" nel senso biologico, ma profondamente addormentati rispetto alla dimensione interiore dell'esistenza. E questo sonno collettivo si manifesta in modi concreti: nell'incapacità di sostare davanti al dolore del mondo – le guerre, le ingiustizie, le crisi climatiche che scorrono sui nostri schermi come un fiume indifferenziato di notizie; nella frenesia consumistica che trasforma proprio l'Avvento, tempo di attesa sobria, in una corsa agli acquisti e alle decorazioni; nell'ansia performativa che ci spinge a fare sempre di più senza mai chiederci il perché. Agostino ricorda ai fedeli che Dio non è lontano, non va cercato in luoghi esotici o in esperienze straordinarie: «Tu eri dentro di me e io fuori», scrive nelle Confessioni (X, 27.28), descrivendo il suo lungo peregrinare spirituale prima di scoprire che ciò che cercava era già presente nel profondo del suo cuore.
L'Avvento propone un antidoto a questa condizione. Non è un conto alla rovescia verso il Natale, ma una pedagogia del risveglio: un lento tornare a essere presenti a ciò che già c'è. La vigilanza di cui parlano i testi liturgici di questo periodo non è ansia per il futuro né attivismo frenetico, ma capacità di presenza consapevole. È l'arte, oggi quasi perduta, di sostare, di fare silenzio interiore, di creare spazi di attenzione autentica. Il risveglio agostiniano diventa così un invito controcorrente: rallentare invece di accelerare, fare silenzio invece di riempire ogni spazio vuoto, coltivare l'attenzione invece di disperderla. Non si tratta di un'evasione dal mondo, ma di un ritorno a una presenza più autentica nella realtà quotidiana. Le pratiche tradizionali dell'Avvento – la corona con le sue quattro candele che si accendono progressivamente, i momenti di preghiera e riflessione, persino il digiuno inteso come liberazione dal superfluo – possono essere riscoperte come strumenti concreti per questo risveglio. Non semplici rituali nostalgici, ma tecniche spirituali che creano le condizioni per una qualità diversa dell'attenzione. «Ritorna al tuo cuore», esorta Agostino, perché è lì che il Verbo vuole nascere. È un invito a fare spazio, a liberare l'attenzione, a riordinare il caos interiore che la vita quotidiana spesso produce. L’Avvento diventa così il tempo privilegiato per disfare il sonno del cuore, per ridare spazio alla presenza che non ci abbandona. Una presenza che non irrompe, ma bussa con discrezione; non impone, ma attende; non costringe, ma sveglia. In un tempo che corre, distrae e assorda, l'Avvento ci invita a fermarci. Non per evadere, ma per ritrovare il centro. E allora, in questo inizio di Avvento, la voce di Agostino risuona come un’antica luce che torna a brillare: svegliati, perché la luce è già sorta; veglia, perché il Signore è vicino; destati, perché l’Avvento non è lontananza ma ritorno all’essenziale – un risveglio possibile oggi.

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