«Sono partito due anni fa dalla Nigeria, ho attraversato il deserto e l'inferno della Libia»
Il racconto dei migranti soccorsi dalla nave Ong di Emergency e sbarcati nel porto barese: 120 persone salvate in mare

«Vengo dalla Nigeria, ho lasciato il mio Paese perché c’è la guerra e non conosco neanche la sorte dei miei cari. Sono fuggito in Libia, dove ho vissuto un vero inferno, con la speranza di raggiungere l’Europa. È stata dura anche la traversata del deserto del Sahara senza cibo né acqua, costretti a volte a camminare per ore, tre persone che viaggiavano sul mio stesso mezzo sono morte di stenti. Una volta arrivato in Libia ho iniziato a fare lavori manuali saltuari per uomini arabi, ero trattato come uno schiavo e ho visto diverse persone uccise davanti a me perché chiedevano più soldi. Ho tentato di partire quattro volte: pagavo un libico che avrebbe dovuto organizzare la traversata del Mediterraneo, ma invece tratteneva semplicemente i soldi e ci mandava via dal posto in cui aspettavamo di imbarcarci. Ogni volta dovevo tornare per strada e ricominciare a lavorare. Sono stato intercettato e arrestato più volte, finalmente al quarto tentativo è andata bene. Non so come sarà la vita in Europa, ma qui nessuno cercherà di uccidermi e spero che l’esistenza sia finalmente più giusta con me». È il racconto di un ragazzo nigeriano soccorso dalla nave di Emergency, Life Support, giunta sabato pomeriggio nel porto di Bari.
I due interventi di soccorso sono avvenuti tra la notte del 2 e la mattina del 3 dicembre, entrambi i casi sono stati individuati dal ponte di comando della nave e hanno interessato due gommoni precari e sovraffollati, privi di dispositivi di sicurezza. Con il primo soccorso gli operatori di Emergency hanno portato in salvo 47 persone, con il secondo altre 73.
Le persone soccorse erano partite dalle coste libiche, vicino Tripoli, e provenivano prevalentemente da Gambia, Guinea, Niger, Nigeria, Sud Sudan e Sudan, paesi devastati da guerre, instabilità politica, povertà e crisi climatica. «Durante i giorni di navigazione verso Bari ho avuto modo di ascoltare diverse storie dei naufraghi, tra cui quella di una signora che proviene da El Fashir, in Sudan, e ha subito la sparizione dei suoi familiari – spiega Dorra Frihi, mediatrice culturale a bordo della nave –. La sua condizione non è un caso isolato, bensì la realtà che vivono molte persone della sua comunità. Una realtà fatta di violazione dei propri diritti, sparizioni forzate, violenze sistemiche e violenze sessuali. Questa donna mi ha anche chiesto esplicitamente di riportare la sua testimonianza e di non normalizzare la guerra». «Vengo da Al Fashir, in Darfur. Nel mio Paese c’è la guerra e si vive in una condizione continua di pericolo, in cui puoi essere colpito in qualsiasi momento e anche camminare in strada significa sentirsi a rischio - racconta un uomo sudanese soccorso dalla Life Support -. Questo mi ha spinto a partire per venire in Italia, dove avevo già degli amici. Dal Sudan sono andato in Niger, poi in Algeria e in Tunisia, dove ho provato ad attraversare il Mediterraneo otto volte ma sono stato sempre intercettato e respinto dalla cosiddetta Guardia costiera tunisina o libica. A quel punto sono entrato in Libia, dove ho tentato la traversata del mare altre due volte e al secondo tentativo ho incontrato voi. Il viaggio attraverso il deserto è stato molto duro, senza cibo e acqua, e la vita in Tunisia è stata ancora più difficile che in Libia, nonostante lì sia stato anche un mese in carcere a Zuwara. Ora – conclude- spero di poter lavorare in modo dignitoso e aiutare la mia famiglia».
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