Primo segnale di Nordio: «Pene alternative per 10mila detenuti»
Una task force del ministero della Giustizia valuterà entro settembre la fattibilità di interventi in favore dei reclusi con ancora due anni da scontare e che non abbiano avuto sanzioni disciplinari

In un’estate rovente, con il sovraffollamento carcerario ormai ben oltre la soglia di guardia, dal ministero di Giustizia si leva un primo segnale di fumo. Per ora si tratta di una ricognizione, nel senso che il dicastero fa sapere di aver accertato - dopo un «utile confronto» del Guardasigilli Carlo Nordio con la magistratura di sorveglianza - che «10.105 detenuti cosiddetti definitivi sono potenzialmente fruitori di misure alternative alla detenzione in carcere». Per questo, si legge in una nota, al ministero della Giustizia «è stata istruita una task force» che ha già attivato interlocuzioni con i giudici di sorveglianza e con i singoli istituti penitenziari per favorire la definizione delle posizioni. Una mossa per mettere a fuoco quella parte di popolazione carceraria che, senza dunque bisogno di nuove norme, sarebbe già in grado di scontare la pena residua con modalità alternative alla reclusione, come possono essere - in base alla legge - la detenzione domiciliare, l’affidamento in prova ai servizi sociali, la semilibertà o addirittura la liberazione anticipata.
La «quarta gamba» del tavolo di interventi di Nordio
La mossa della ricognizione, viene spiegato da fonti ministeriali interpellate da Avvenire, punterebbe ad arricchire la strategia complessa di interventi pensati dal ministro per alleggerire le presenze strabordanti in quasi tutti i 189 istituti. Con quasi 63mila detenuti costretti in celle con 47mila posti effettivi, con un tasso di suicidi angosciante e dopo i ripetuti appelli levatisi da più parti - a partire dall’alto monito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella -, fra le mura di Palazzo Piacentini si è fatta strada la convinzione che si debba fare qualcosa in attesa che le altre strade da battere diventino concrete. «Una quarta gamba», argomentano le fonti, da aggiungere alle tre del tavolo di interventi già ipotizzati dal ministro per sfoltire le carceri dal 15% di detenuti in attesa di giudizio; dal 25% (ma dati del 2024 ipotizzavano perfino il 40%) di persone con problemi di tossicodipendenza, da affidare a comunità terapeutiche; e dal 25% di stranieri, a cui far scontare la pena nelle rispettive patrie. Tutte soluzioni ancora solo sulla carta: nel primo caso, forse servirebbero aggiustamenti normativi; nel secondo, è in atto un’interlocuzione fra ministero e comunità per vagliarne la praticabilità; nel terzo, sarebbero indispensabili accordi bilaterali di cooperazione con diversi Stati (Romania, Albania, Tunisia, Nigeria e altri ancora) che però sono ancora in alto mare. Invece, la via dell’accelerata sulle pene alternative potrebbe costituire una prima concreta exit strategy per alleggerire l’attuale fardello, perché realizzabile a legislazione vigente.
Il nodo politico da sciogliere: nessun “liberatutti”
Dopo le frizioni (soprattutto con la Lega, che non vuole sentire parlare di misure svuota carceri o libera tutti) di questa prima metà di legislatura, in via Arenula c’è consapevolezza di quanto sia delicato il tema per la “serena” tenuta dell’esecutivo. Per questo, spiegano fonti parlamentari, «intanto la priorità resta la riforma della separazione delle carriere» (in seconda lettura in Senato e col voto previsto per lil 22 luglio), poi si valuterà sul piano politico pure questa via, sperando che risulti “digeribile” a tutte le forze di maggioranza. Nel frattempo, in via Arenula si starebbero piazzando tasselli utili a corroborare la strategia. Si valuterebbe, ad esempio, di aumentare gli organici dei magistrati di sorveglianza, che da anni lamentano di essere pochi a fronte di montagne di casi da vagliare. Inoltre, nel caso di detenuti da assegnare ai domiciliari, spesso manca una abitazione presso cui scontare la pena. D’intesa con gli enti locali, si studiano soluzioni: sempre ieri, ad esempio, Nordio ha stanziato due milioni di euro per la Regione Abruzzo, con l’obiettivo «di avviare percorsi di orientamento, formazione e housing sociale delle persone sottoposte a misura penale esterna o in uscita dagli istituti penitenziari» e di «attivare una rete per favorirne il reinserimento socio-lavorativo».
Il conteggio riguarda «chi ha pene residue sotto i due anni»
Ma, in concreto, quale sarebbe l’identikit dei diecimila censiti dal ministero? A che livello sarebbe stata fissata l’asticella? La nota puntualizza che si tratta dei «detenuti definitivi con pena residua sotto i 24 mesi, per reati diversi da quelli ostativi -di cui all’articolo 4 bis della Legge di ordinamento penitenziario- e che negli ultimi 12 mesi non hanno riportato sanzioni disciplinari gravi». La cifra sarebbe stata calcolata, come detto, dopo un confronto coi giudici di sorveglianza, in grado di valutare le singole situazioni e i relativi fascicoli personali. La task force, insediatasi ieri, «si riunirà con cadenza settimanale e trarrà le sue conclusioni entro settembre 2025». Vedremo quali saranno.
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