mercoledì 11 dicembre 2024
Il presidente Cei all'incontro sull'"amore politico" come strumento di pace: «E la presenza della Chiesa nel mondo è un valore aggiunto per la politica estera». Tajani: il microcredito è cooperazione
Da sinistra: Matteo Zuppi, Antonio Tajani e Mario Baccini al ministero degli Esteri

Da sinistra: Matteo Zuppi, Antonio Tajani e Mario Baccini al ministero degli Esteri - Foto Siciliani

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La prima volta alla Farnesina di un presidente della Conferenza episcopale italiana. Il cardinale Matteo Zuppi parla di pace, diplomazia, politica - in dialogo col ministro degli esteri Antonio Tajani - all'incontro su "L'amore politico strumento di pace e democrazia" organizzato al ministero degli Esteri dall'Ente Nazionale per il Microcredito, introdotto dal presidente dell'Ente Mario Baccini e moderato da Piero Schiavazzi.

A inventarlo è stato il banchiere bengalese Muhammad Yunus, Nobel per la pace. E per Antonio Tajani «il microcredito svolge un ruolo chiave. Noi come governo lo vogliamo valorizzare sempre di più. È uno strumento molto vicino al modello che ci è caro del credito cooperativo, dalla forte valenza sociale. Rafforzare la cultura del microcredito è un sostegno alle imprese legate al territorio, anche per affrontare la sicurezza alimentare. È uno strumento particolarmente adatto - sostiene il ministro - per rilanciare la crescita partendo dai territori, valorizzando le piccole attività imprenditoriali, magari familiari. Attraverso la cooperazione e lo sviluppo stiamo realizzando molti interventi di microcredito, specie nel continente africano» ma anche «nel difficile contesto dei territori palestinesi», ha sottolineato Tajani. «Anche questa è diplomazia della pace - aggiunge - perché dove circolano le merci c'è crescita e benessere e non circolano le armi». Tajani sottolinea anche che «la politica estera non la fanno sono il ministero e i diplomatici, ma tutti gli italiani che all'estero portano prodotti materiali e immateriali della nostra cultura e civiltà. E soprattutto quei portatori di pace che sono i missionari, religiosi e laici, con opere di misericordia».

Zuppi ringrazia Tajani: «Il ministro ha descritto una collaborazione che è un valore aggiunto per la politica estera di molti paesi, ma in particolare dell'Italia, che ha la Chiesa e il Papa, pur nella distinzione della laicità dello Stato. È una politica estera che coinvolge tutti i soggetti». Poi il presidente della Cei ricorda con emozione quando nel 1992, da sacerdote con la Comunità di Sant'Egidio, partecipò proprio alla Farnesina, ministro Emilio Colombo, alla firma degli accordi di pace del Mozambico. «Il segretario delle Nazioni Unite allora Boutros Ghali parlò di "formula italiana", perché istituzioni, organizzazioni non governative, chiesa mozambicana si trovarono insieme per risolvere il conflitto. Formule che nascono dell'amore politico, che non sono una diplomazia parallela, ma un valore aggiunto».

Il cardinale poi amplia il discorso sul tema delle democrazie in crisi e della diplomazia messa da parte dal ricorso alla guerra. E cita il monito di Papa Francesco che «all'ultima edizione delle Settimane sociali a Trieste ha definito la democrazia "un cuore infartuato". Perché la cultura dello scarto dei poveri e degli emarginati - avverte Zuppi - aumenta i rischi per tutti: non solo perché gli esclusi pesano sullo Stato, ma perché creano divisioni nella società, provocando una grave rottura della coesione sociale». Oggi più che mai, allora, c'è bisogno «dell'amore politico che guarda all'interesse generale, senza altri fini. Perché appunto è amore». Per il presidente della Cei in questa stagione «è importante che l'Europa resti forte e coesa, una casa divisa non riesce ad affrontare i marosi della storia».

Dal cardinale arriva un monito alle derive populiste che inquinano le democrazie, «quelle democrazie che affermano che la volontà popolare è al di sopra di tutto. Serve invece l'equilibrio, virtuoso ed efficace, tra i diversi poteri dello Stato. Come ha detto il presidente Mattarella, democrazia non è vittoria della maggioranza». Zuppi ha sottolineato come «democrazia e pace vanno a braccetto, mentre la guerra deturpa l'anima di un popolo, gli tira fuori il peggio. Non importa se aggredito o aggressore», sottolinea. Il Cardinale constata come «l'arte della diplomazia sia troppo messa da parte, si considera la pace come una cosa da anime belle, i diplomatici vengono considerati degli ingenui, le Nazioni Unite e il multilateralismo sono in crisi».

Poi il monito: «Rischiamo di tornare al tempo dei sonnambuli, che caddero nella trappola bellica della Grande Guerra quasi senza accorgersene». Il presidente dei vescovi italiani ricorda come invece i papi del secolo scorso «avevano capito che la guerra sfugge al controllo, come una palla di neve che rotolando diventa una valanga. La vittoria è una chimera per tutti. Le guerre non finiscono e mancano gli obiettivi». Invece «la pace anche se non è mai perfetta è sempre giusta. Bisogna moltiplicare le iniziative diplomatiche, trovare le convergenze e i compromessi. Partendo dalle sofferenze, dalle vite spezzate. E la Chiesa non è neutrale: sta dalla parte delle vittime». Esempio di "amore politico" è stato Giorgio La Pira, il "sindaco santo" «che volle fare di Firenze un luogo di dialogo, un crogiuolo di convivenza mediterranea. Come poi Giovanni Paolo II fece con Assisi, un cammino poi proseguito da altri». L'obiettivo è quello definito da papa Francesco di «organizzare la speranza. E l'amore politico non si accontenta di affrontare gli effetti, ma cerca di trovare gli strumenti per risolvere le cause. Permette alla politica di uscire dalla polarizzazioni che immiseriscono».

Ai cronisti che lo intercettano all'arrivo, il cardinale Zuppi dice che «finora le logiche della guerra sono state più forti e questo sfida tutti, la Chiesa, la diplomazia, la politica, a cercare un quadro nuovo che possa garantire la soluzione per i conflitti che non siano le armi, ma che sia quella grande consapevolezza frutto della tragedia delle due guerre mondiali, cioè una sovranità capace di comporre i contenziosi». E aggiunge: «La pace si deve fare sempre tra le due parti, ma c'è sempre bisogno della terza parte, che è la comunità Internazionale, in tutti i conflitti, quelli più grandi e quelli più piccoli. Papa Francesco da questo punto di vista è commovente, a mio parere, nella sua insistenza a non abituarci mai alla violenza e alla guerra, e a indicare la via del dialogo come il vero modo per comporre i conflitti».

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