mercoledì 3 novembre 2021
Il racconto delle torture dei trafficanti e della paura in mare. Poi il ricongiungimento con il fratello Hosny ad Anzio: "Ma non rifarei quel viaggio"
Zacaria e il fratello ad Anzio

Zacaria e il fratello ad Anzio - Per gentile concessione di Zacaria e Hosny

COMMENTA E CONDIVIDI

«Ho avuto tanta paura. Mi hanno trattato male. Se mi alzavo mi picchiavano. Se parlavo mi picchiavano. E sparavano in aria. No, non rifarei quel viaggio». È il racconto di Zacaria, egiziano, 14 anni, arrivato in Italia il 18 ottobre, con un peschereccio carico di 300 immigrati, partiti dalla Libia orientale e sbarcati a Roccella Ionica.

Tra loro 61 minori non accompagnati, egiziani come Zacaria, 14 anni che hanno già visto e vissuto tanta sofferenza. Un viso da bambino che si rabbuia quando ricorda le violenze dei trafficanti libici. «Ho visto tanti morti nel viaggio nel deserto dall’Egitto alla Libia».

Di notte si sveglia, gli incubi non lo abbandonano. E la sua storia apre spiragli su una rotta di cui poco si parla e si sa, quella che dall’area di Tobruk porta sulle coste calabresi, gestita da trafficanti violenti e spregiudicati.

Ce la racconta assieme al fratello Hosny, 26 anni, in Italia dal 2007 e partito dal suo paese, territorio di Gharbiya, quando aveva appena 12 anni.

«Ho firmato una cambiale di 5mila euro ai trafficanti che poi ha dovuto pagare la mia famiglia. Sono partito da Alessandria su una barca di legno con 130 persone e sono sbarcato a Siracusa. Ma allora non c’erano tutte le violenze che ha subito mio fratello». Hosny, per tutti Daniele, vive a Anzio, sulla costa a sud di Roma, ha sposato un’italiana, ha alcuni negozi di frutta, come tanti connazionali. «Sto bene, non mi lamento. Il nostro Paese è il più bello del mondo ma si pensa che in Europa si stia meglio. Non è vero. Se tornassi indietro non partirei. Ma ora sono qua e devo dire grazie all’Italia».

Molto più dura la vicenda del fratello. Non aveva detto niente ai genitori. È salito su un pullman che partiva per la Libia, confondendosi col gruppo. Così non ha pagato né il viaggio nel deserto né quello in barca. Ma ha pagato pesantemente con le violenze. «Sono rimasto in Libia 25 giorni. I trafficanti ci spostavano in continuazione da un capannone all’altro. Eravamo in migliaia. Ci davano da mangiare solo pane secco con la muffa e formaggio. Ma al telefono dovevo dire alla mia famiglia che mangiavamo da McDonald’s». E non solo questo. «Ci obbligavano a chiamare gli amici per dire 'venite in Libia che si sta bene. Basta che paghi e ti portano in Italia'».

E invece, sottolinea il fratello, «i trafficanti libici picchiano e sparano. Sono mafiosi. Non hanno pietà. Lasciano senza mangiare e senza bere. Dove è la pietà?». Una situazione talmente dura che Zacaria ha sperato che la polizia libica li trovasse e li rimandasse indietro. E dopo le violenze la paura. «Non avevo mai visto il mare. Il viaggio è durato 5 giorni. Prima stavo nella stiva ma mi sono sentito male e mi hanno fatto salire. La barca ondeggiava, che paura!», e col corpo simula il movimento.

«A guidare la barca erano libici. Avremmo dovuto dire che erano scappati. Loro sapevano dove stavamo andando, in Calabria». Una precisa strategia che i fratelli ci spiegano. «Siccome Lampedusa era piena, temevano che gli italiani li avrebbero rimandati indietro. Poi basta che una barca ce la fa ad arrivare e le altre la seguono». A 35 miglia dalla costa il peschereccio è stato raggiunto dalla Guardia costiera e trainato a Roccella Ionica. «Ci hanno trattati bene, cure, cibo, vestiti. Non mi posso lamentare di niente». Appena sbarcato Zacaria ha telefonato al fratello. «Sono arrivato, sono in Calabria». «Gli ho risposto, 'segui la polizia, quello che ti dice fai'. Mi ha detto che alcuni si stavano organizzando per scappare. Gli ho detto 'non farlo, facciamo tutto regolare'».

Per fortunata coincidenza a Roccella vive un parente della moglie di Daniele. «Ha parlato col sindaco. Così me lo hanno affidato. Con tanta gentilezza». Ricordiamo che i minori non accompagnati sono affidati al sindaco. Nel caso di Zacaria si è poi applicata la norma sul ricongiungimento familiare. Ovviamente dopo tutti gli accertamenti. Da pochi giorni è ad Anzio, dove lo incontriamo nel bel negozio del fratello mentre sta imparando a sistemare con cura frutta e verdura. Ma vuole andare a scuola, gli manca un anno per finire le medie. Anche se ha capito che la realtà è molto diversa da quella che immaginava. «Chiama gli amici e li avvisa di non provare a fare il viaggio. O almeno di farlo in modo regolare, altrimenti si rischia la vita cinquanta volte al giorno». Zacaria fa di sì con la testa. Difficilmente dimenticherà quei giorni in mano ai trafficanti. E ci ripete «Ho avuto tanta paura», con quel suo viso da bambino cresciuto troppo in fretta.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: