venerdì 2 agosto 2013
​Un pronunciamento che farà discutere: un ex professionista cinquantenne si è sottoposto, dal 2009, a una terapia ormonale femminilizzante. Il transgender, senza ricorrere alla chirurgia, ha chiesto e ottenuto il cambio di genere anagrafico per il suo «benessere psicofisico».
IL GIURISTA Marini: sentenza pericolosa ma fine a se stessa
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Il «benessere psicofisico» è stato determinante per consentire ad un cinquantenne transgender trentino, anche senza ricorrere alla chirurgia, di essere dichiarato donna dal tribunale di Rovereto (Trento). La persona nata uomo che ha chiesto di cambiare genere anagrafico, è un ex libero professionista di Arco, che è riuscito, rivolgendosi alla magistratura, ad ottenere la nuova definizione alla voce “sesso: femminile” pur non facendosi operare agli organi genitali. Sulla sua nuova carta d’identità è stato apposto il nome Lucia. Tutto questo dopo essersi sottoposto, dal 2009, a una terapia ormonale femminilizzante. Quando si è presentato davanti al giudice, ha dichiarato con decisione di sentirsi donna. Secondo quanto ha affermato Alexander Schuster, legale della donna, la «riattribuzione del genere anagrafico senza operazione né sterilizzazione» comporta «maggiori spazi di tutela per l’identità di genere». L’avvocato ha evidenziato la portata della decisione del tribunale di Rovereto che, secondo lui, «ha compiuto un passo importante per la tutela delle persone trans». Schuster, in particolare, ha sottolineato come, nel pronunciamento del giudice, sia stato fatto «proprio il principio di diritto secondo cui "nei casi di transessualismo accertato, il trattamento medico chirurgico previsto dalla legge 164 del 1982 è necessario nel solo caso in cui occorre assicurare al soggetto transessuale uno stabile equilibrio psicofisico, qualora la discrepanza tra psico-sessualità ed il sesso anatomico determini nel soggetto un atteggiamento conflittuale di rifiuto nei confronti dei propri organi genitali", chiarendo che laddove non sussista tale confittualità "non è necessario l’intervento chirurgico per consentire la rettifica dell’atto di nascita"». In questo caso, che certamente non mancherà di far discutere e di creare anche polemiche per le implicazioni che suscita e per gli scenari futuri che ne potranno derivare, dirimente diviene pertanto «il benessere psicofisico del soggetto: un intervento chirurgico è necessario solo dove sia utile per rimediare alla eventuale conflittualità vissuta dalla persona». Dal 1997 ad oggi si registrano solo tre sentenze che hanno riconosciuto a persone che non intendevano sottoporsi ad un’operazione chirurgica e senza che sia stata accertata la sterilità delle stesse il diritto ad ottenere il cambio del genere anagrafico». I tre precedenti del 1997, 2011 e 2012, erano una giurisprudenza isolata del tribunale di Roma. La sentenza di Rovereto è stata depositata il 3 maggio scorso e passata in giudicato a fine luglio. È la prima che fa proprio questo indirizzo giurisprudenziale fuori dalla capitale.
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