mercoledì 3 dicembre 2008
Magnaschi, già direttore dell’Ansa, ha cominciato ad «Avvvenire»: un giornale che rompe il conformismo, ma senza la pretesa di essere «il migliore»
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Ha cominciato ad Avvenire: anno 1973, pagine di economia, 145mila lire al mese con moglie e tre figli, che anche allora non erano molte. La passione per il giornalismo, invece, era tanta. Pierluigi Magnaschi, direttore di diverse testate e poi a lungo a capo dell’agenzia Ansa, oggi editorialista di Italia Oggi e vicepresidente del gruppo Class editori, ha di quei due anni in redazione un buon ricordo: «Eravamo quasi tutti giovani. Ci veniva lasciata la briglia sciolta. C’era Walter Tobagi e molti altri, una sorta di vivaio. Il giornale era nato nel 1968, anno gravido di metamorfosi, da un’intuizione di Paolo VI che oggi definirei straordinaria: aveva voluto affermare la unità della voce della Chiesa italiana, in un Paese che inavvertitamente cominciava a disgregarsi. Una voce che si sarebbe alzata rigorosa, ma non arrabbiata; da Milano, dunque lontano dai palazzi della politica, come individuando nel Nord il laboratorio di un modello nuovo da offrire alla società italiana».L’Italia in cui nacque Avvenire dalla fusione era ben diversa da oggi, era l’Italia della Dc al 40% per cento dei consensi. «Però questo partito cattolico maggioritario da un punto di vista culturale spingeva verso la ghettizzazione, sia pure una ghettizzazione ampia, di un pensiero cattolico che invece riguardava l’intera società civile. Alcuni percepivano la testata cattolica come un prolungamento di quella Dc cui erano ostili. In realtà, il venir meno della Dc è stato per Avvenire quasi la liberazione da un fardello: sciolti, già con l’esordio della direzione di Boffo, dal collateralismo con quel partito, il giornale ha iniziato a esercitare un’influenza come non l’aveva mai avuta prima. Tra opinionisti e direttori di quotidiani, Avvenire oggi è considerato con grande rispetto, e citato come voce autorevole. Ed è letto anche da agnostici o atei, perché le tematiche che affronta comunque li riguardano. Personalmente apprezzo poi il fatto che non abbia mai toni urticanti, pur restando fermo nella sua tensione morale. Questa è l’anima che gli ha trasmesso il cardinale Ruini. Un uomo che dai media laici è stato dipinto come un condottiero con la spada in pugno, immagine che in realtà non gli corrisponde affatto. Il dialogo sul quale Ruini, e Boffo, hanno costruito Avvenire non è mai arrogante. Mentre ciò che resta in Italia del comunismo è spesso oltranzista, ispirato a una intima convinzione di essere i "migliori", Avvenire ha ferme convinzioni, ma non ha la iattanza di chi si sente migliore. Non è un giornale "militante", una differenza sottile, ma importante». Nello sguardo sugli avvenimenti, che cosa secondo lei caratterizza Avvenire?Ciò che salta agli occhi è un’universalità dello sguardo. Gli altri media tendono a riferire con gran risalto, di quello che accade nel mondo, soprattutto ciò che riguarda direttamente l’Italia o alcuni italiani. Gli eventi dell’Africa, ad esempio, spesso non compaiono affatto nelle prime pagine dei nostri quotidiani, quasi che, come nell’antichità, ancora si potesse dire: «Hic sunt leones». Il giornale cattolico ha invece spesso il Terzo Mondo in prima pagina, lo segue, lo "coltiva" e si accorge prima delle emergenze che su altre testate scoppiano più tardi, improvvise, quasi nascessero dal nulla. Questa è una tensione che, credo, viene al giornale dal partecipare alla missione universale della Chiesa e dalla stessa tradizione missionaria (io ho imparato più geografia dai missionari che venivano a scuola a parlare che dai libri). Una tensione che permette al quotidiano cattolico di parlare di globalizzazione in termini, prima che economici, umani. La grande battaglia di Avvenire in questi anni è incentrata sulla "questione antropologica", sui temi etici. Sfida in cui spesso si è trovato, se non solo, accompagnato da pochi. Perché questo isolamento?Direi piuttosto che la vostra è una battaglia minoritaria – e forse anche fra una parte degli stessi cattolici. Statisticamente prevale la deriva che non pone l’uomo al centro della attenzione, prevale la logica dell’uomo "usa e getta". Però mi pare che Gesù Cristo abbia detto che il suo Regno non è di questo mondo, e dunque se la posizione etica della Chiesa fosse plebiscitaria, mi preoccuperei. Accade poi che su una vicenda come quella di Eluana prevalgano criteri economicistici, di risparmio di energie umane e posti letto, anche se vestite di sentimenti "buoni" e altruistici. Una diversità di fondo, dunque, che Magnaschi dice di riconoscere al mattino, quando apre Avvenire, fin dalla prima pagina: «C’è un’altra gerarchia di notizie. Spesso i quotidiani hanno le stesse notizie con lo stesso rilievo e ordine, che poi è quello dei tg e, ancora prima – lo so bene avendo diretto l’Ansa – delle notizie delle agenzie. Voi interrompete questa catena di non-originalità. Per i quarant’anni il mio augurio a Avvenire sta in un dato che c’è già, e cioè l’aumento dei lettori, mentre molte altre testate ne perdono. Me lo auguro non solo per voi, ma perché il pensiero e il dialogo di cui siete portatori serve a questo Paese».
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