Questo è stato il Meeting di Napolitano, di Elkann o di Tettamanzi?«L’incontro con il Capo dello Stato – risponde
Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà e uno dei leader di Comunione e Liberazione – è “storico”. Napolitano ha scelto il Meeting per lanciare un appello al Paese e ha mostrato tutto il suo amore per l’Italia, incoraggiando la collaborazione tra culture diverse, come quelle che da anni lavorano nell’Intergruppo per la sussidiarietà».
E Elkann e Marchionne, che c’azzeccano con i ciellini?Il Meeting è un incontro tra persone che vengono da lontano, pensiamo a Weiler, Farouq, Milbank. Elkann e Marchionne sono amici con i quali c’è una naturale simpatia perché riconosciamo in loro la volontà di un sincero cambiamento. Elkann è stato una scoperta. Subito in sintonia con i nostri giovani, ci ha regalato una bella definizione della sussidiarietà: un ideale che si vede nei fatti. Lui e Marchionne rappresentano una classe industriale che ha radici diverse dalle nostre ma, come Olivetti, ama questo paese e si compromette con la sua storia.
Quello con Tettamanzi è stato un incontro o una riconciliazione?È stato tra gli incontri più sorprendenti e commoventi. Ci ha regalato parole bellissime su San Carlo e non c’era proprio nulla da riconciliare: Comunione e Liberazione è sempre stata obbediente e devota all’arcivescovo di Milano, e nella sua visita di quest’anno, legata alla mostra co-organizzata sul Borromeo, non c’era alcuna “convenienza”. La teoria della divisione della Chiesa di Milano in due anime è pura mitologia giornalistica: da decenni, migliaia di aderenti al nostro movimento lavorano nelle parrocchie di Milano rette da parroci non ciellini e ogni anno la messa in suffragio di don Giussani la celebra proprio il cardinale Tettamanzi. Infine, io con questi occhi ho visto abbracciarsi Tettamanzi e il “Gius” in occasione dell’ottantesimo compleanno del nostro fondatore e tutti eravamo commossi per l’amicizia e la spiritualità che trasudava quell’incontro. Nella Chiesa c’è un grande amore per l’uomo.
Anche quello per Alfano è vero amore?Anche lui partecipa all’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, ambito in cui vengono affrontati i problemi di fondo del nostro Paese con spirito bipartisan e dove la preoccupazione per cui l’Italia degli inclusi non faccia fuori quella degli esclusi è sempre alta. Triste il Paese che non riduce le pensioni sapendo che domani non potrà più pagarle.
È triste anche il mondo della scuola? L’ultimo provvedimento sulla scuola favorisce i precari ed esclude i giovani, penalizza la qualità dell’istruzione e intona il
de profundis della scuola paritaria, che non può assumere. Siamo un paese di vecchi, chi può fugge all’estero - ma perdiamo i cervelli migliori - e gli altri subiscono una flessibilità che in realtà è precarizzazione.
Dopo la Gelmini, anche Sacconi ha deluso?No. Sacconi si muove contro chi confonde flessibilità e precariato. Dalla discussione sui tagli si coglie che molti hanno confuso anche solidarietà con difesa delle rendite. Certi sindacati dovrebbero capire che non esistono solo i lavoratori di Mirafiori o i pensionati. I tagli vanno fatti - anche riducendo le pensioni di anzianità - ma bisogna uscire dalla logica corporativa.
Chi la difende? Chi ostacola la riforma delle pensioni, assume i precari
ope legis, non abolisce le province e non ha il coraggio di scegliere. In Italia si usa ancora la pubblica amministrazione come ammortizzatore sociale - 13mila dipendenti nella formazione professionale in Sicilia, tutti i precari della sanità pugliese assunti in un sol colpo da Vendola... - mentre si dovrebbero distinguere le aree di solidarietà da quelle funzionali allo sviluppo. Analogamente, sul piano fiscale, si aiutino le famiglie che fanno figli, tramite il quoziente, e le imprese che assumono, investono, esportano, cioè quei soggetti che possono contribuire alla ripresa. I tagli devono essere uno strumento per lo sviluppo.
I cattolici hanno una propria ricetta economica?Ci stiamo lavorando. Il Magistero del Papa e dei Vescovi, fiorito intorno alle encicliche sociali di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, fornisce tutto il
background necessario. Il dato più importante è che oggi il mondo cattolico mette in primo piano i nodi dello sviluppo e ne discute. L’etica della vita, i «valori non negoziabili», fonda un’etica sociale impegnativa. Per questo la proposta dei cattolici sulle grandi questioni sociali è forte. Direi che oggi siamo capaci più che mai di essere coscienza critica su questi temi come lo eravamo già da tempo su quelle internazionali, della pace e della guerra.
E cosa dice questa coscienza della guerra in Libia?Noi italiani abbiamo subito questa guerra. La nostra politica estera interpreta la grande tradizione italiana, la stessa di Andreotti e Craxi, che fa dell’Italia un ponte tra est e ovest, tra nord e sud, un mediatore dei conflitti, non uno Stato guerriero. Nella guerra di Libia come quelle dell’Iraq le principali responsabilità sono soprattutto della presidenza americana, della mediocrità della Merkel e delle ambizioni neocoloniali di Sarkozy. Leader non credibili.