mercoledì 20 settembre 2017
Il 6% delle mamme rinuncia al secondo figlio a seguito di un'esperienza sanitaria negativa, l'11% lo rinvia di molti anni (forse per sempre). Prima indagine Doxa-Ovo Italia sulla «violenza ostetrica»
20mila fratellini in meno: la rinuncia delle donne dopo lo choc del parto
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Tre partorienti su 10 hanno subito l'episiotomia "a tradimento", senza aver dato il consenso informato. Il 27% ha subito visite vaginali per verificare la dilatazione dell'utero «fastidiose e dolorose». Il 6% ha vissuto tutto il parto in solitudine, senza la dovuta assistenza. Sono alcuni tra i dati più eclatanti della indagine nazionale Le donne e il parto, realizzata dalla Doxa su un campione rappresentativo di circa 5 milioni di donne tra i 18 e i 54 anni, con almeno un figlio di 0-14 anni. La ricerca, commissionata dall'Osservatorio sulla violenza ostetrica (Ovo) Italia, rivela una causa finora ignorata tra quelle che hanno portato la denatalità in Italia a livelli drammatici. Lo studio è stato finanziato dalle associazioni La goccia magica e CiaoLapo Onlus.

Il 6% delle donne che ha partorito negli ultimi 14 anni, circa 300 mila mamme, afferma di non avere voluto altri figli proprio a seguito dell'esperienza negativa vissuta durante il primo parto. «Si può pertanto stimare - afferma la ricerca - che ogni anno in Italia ci siamo circa 20.000 nascite in meno come conseguenza diretta di un'assistenza al parto non adeguata e abusante». Ma a contribuire al crollo delle nascite ci sarebbe anche la decisione, presa dall11% delle madri, di aspettare «molti anni prima di avere un altro figlio perché traumatizzate dall'esperienza dell'assistenza al primo parto». Dunque «l'età avanzata della maternità o la scelta sul numero dei figli possa dipendere anche dall'assistenza fornita».

Negli ultimi 14 anni sarebbero state circa un milione le madri in Italia, pari al 21% del totale, vittime di qualche forma - psicologica o fisica - di violenza ostetrica alla loro prima esperienza di maternità. La ricerca analizza i diversi aspetti e momenti vissuti dalle "primipare" durante il travaglio e il parto: il rapporto con gli operatori sanitari, i trattamenti praticati, la comunicazione da parte dello staff medico e il consenso informato, il ruolo della partoriente belle decisioni sul parto, il rispetto della dignità della paziente.

Per il 41% delle donne l'esperienza è stata lesiva della propria dignità e integrità psicofisica. Ed è sicuramente la pratica dell'episiotomia, subita dal 54% delle mamme intervistate, la principale esperienza negativa. Un tempo considerata un aiuto per agevolare l'espulsione del bambino, oggi è definita dall'Organizzazione mondiale della sanità una pratica «dannosa, tranne in rari casi». Si tratta, a tutti gli effetti, di un intervento chirurgico che consiste nel taglio della vagina e del perineo per allargare il canale del parto nella fase espulsiva. Ma rispetto alle lacerazioni naturali che spesso si verificano durante il parto, questo intervento necessità di tempi più lunghi per il recupero con rischi di emorragie e infezioni. L'aspetto più grave è che quasi un terzo delle partorienti - 1,6 milioni di donne negli ultimi 14 anni - cioè il 61% di chi l'ha subita, non aveva dato il consenso informato. L'episiotomia è più diffusa nel Mezzogiorno e nelle Isole (58%), seguono il Centro e il Nord-Est (55%), ultimo il Nord-Ovest (49%).

Tra le altre pratiche lesive della dignità delle mamme la ricreca Doxa-Ovo indica anche il cesareo non necessario (in Italia il 32% dei parti, con picchi in alcune regioni del Sud, il 15% per urgenza, il 14% programmato su indicazione del medico, il 3% su esplicita richiesta della donna). Nel 2013 l'allora ministro della Salute Renato Balduzzi fece condurre un'inchiesta da cui emerse che il 43% dei cesarei è ingiustificato. Medici e gli ospedali si espongono al rischio di essere accusati di lesioni gravi e gravissime, falso in atto pubblico, truffa al Servizio sanitario nazionale per la lievitazione.

Oltre all'episiotomia, tra le pratiche denunciate come lesive della dignità c'è il partorire sdraiata con le gambe sulle staffe; essere esposta nuda di fronte a una molteplicità di soggetti; separata dal bambino senza una ragione medica; non coinvolta nei processi decisionali; essere umiliata verbalmente prima, durante e dopo il parto. Se dunque il 56% delle madri risponde «assolutamente no» alla domanda su eventuali violenze ostetriche e il 23% «credo di no», c'è un 21% che risponde affermativamente: tra queste il 17% «in parte sì», il 4% «sicuramente sì».

L'84% del campione ha partorito in un ospedale pubblico, il 12% in una struttura privata ma convenzionata, il 3% in clinica, l'1% in casa. E desta allarme, secondo la ricerca, che in relazione alla sicurezza del parto il 4% delle mamme intervistate (circa 14 mila donne l'anno) riferisca di aver vissuto una trascuratezza nell'assistenza con insorgenza di complicazione fino all'esposizione al pericolo di vita. Secondo l'Istituto superiore di sanità ogni anno sono oltre 1259 i casi documentati di di «near miss» (quasi perse, ndr) , cioé donne che sarebbero decedute ma sono sopravvissute alle complicazioni insorte durante la gravidanza, il parto o entro 42 giorni dal termine della gravidanza.

In alcuni paesi come Venezuela, Argentina o Messico è previsto il reato di violenza ostetrica. In Italia è in corso un dibattito sul disegno di legge "Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico" del deputato Adriano Zaccagnini (Mdp) che vuole promuovere la salute materno-infantile, considerando la partoriente soggetto e non oggetto di cura.


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