venerdì 20 maggio 2011
Faccia a faccia a palazzo Grazioli dopo il Cdm. Siglata la pace fino al turno dei ballottaggi, ma il leader leghista vuole un rilancio sulle riforme. Ed è scettico sulla tenuta del gruppo dei Responsabili.
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Pace obbligata fino al 29 maggio. Silvio e Umberto si ritrovano faccia a faccia dopo lo choc di Milano che ne ha gelato i rapporti. Un’ora in pieno mattino dopo il Consiglio dei ministri, con il patto implicito di non gettare lo sguardo oltre il ballottaggio. La missione comune è battere Pisapia adottando una strategia comune nei ultimi dieci giorni di campagna elettorale, e vale così tanto da mettere per qualche giorno in un angolo problemi che ormai nessuno - né nel Pdl né nella Lega - ha più il coraggio di negare. «Con Berlusconi nessuno strappo», dice Bossi all’uscita da Palazzo Grazioli. Ma come avviene ormai da settimane, il senatur affianca alle rassicurazioni velate minacce: «Il problema – spiega ai cronisti – è avere un progetto nuovo per il cambiamento, fare le riforme, perché gli effetti del federalismo si vedranno solo tra qualche anno...». Un invito al premier a darsi da fare sulle «cose concrete»: «Il governo – dice il leader del Carroccio – reggerà, ma non può non fare niente».Nel summit Berlusconi evita ogni possibile pietra d’inciampo (nell’incontro si glissa, ad esempio, sul decreto che sospende gli abbattimenti delle case abusive in Campania, inviso ai leghisti). Nei colloqui privati, poi, assicura che «con Umberto va tutto bene, l’alleanza è solida, siamo uniti per prendere Milano». Il fatto è che sente di avere tra le mani la carta che blocca le ire dell’alleato: «Non c’è alternativa a questo esecutivo», dice aprendo il Cdm lampo del mattino (venti minuti per varare un nuovo decreto legislativo sul federalismo). Una frase alla quale i suoi danno due interpretazioni: far notare alla Lega che non ha exit strategy a disposizione, e far capire a tutti, anche alle opposizioni che lanciano ami, che se cade lui non ci saranno «giochi di palazzo e ribaltoni», ma unicamente il voto.E Bossi su questo punto lo rassicura: Tremonti e Maroni, confida in Transatlantico, «sono intelligenti, non pensano a fare il premier, non accetterebbero». Né alla Lega interessa la vicepresidenza del Consiglio. L’importante è «fare delle scelte». E aggiunge: «Anche noi abbiamo fatti degli errori». Da giorni il Senatur si rammarica per aver ceduto, ad esempio, sulla questione-immigrazione alla luce dell’intervento in Libia. Sono questi, per via Bellerio, i temi che hanno causato il calo alle amministrative. «Si, c’è qualche paura al nostro interno – ammette il leader leghista –, ma la base sta dove sto io...».Oltre a confermare la sintonia con il Colle («Lui è il capo, se chiede la verifica del governo la faremo...»), Bossi, guardando negli occhi il premier, gli ha posto dinanzi un dubbio: «Davvero credi di poter andare avanti con i Responsabili?». Il premier gli ha risposto con un «si» convinto. Fuori, però, commentando i cinque ko in Aula di mercoledì, causati proprio dalle defezioni dei responsabili non premiati con posti in esecutivo, sembra scettico: «È un problema che va adeguatamente risolto, Berlusconi ha detto che non si ripeterà più». Ed è proprio il ruolo della terza gamba il punto da «sistemare» nel «nuovo progetto» per andare avanti. Il premier conosce le perplessità leghiste su Scilipoti e compagni, e per questo motivo, motivando i ministri a stare «compatti», li ha anche spronati a «evitare assenze». «Incidenti marginali come quelli di ieri (mercoledì, ndr) vengono strumentalizzati, la maggioranza è solida e presto si allargherà ancora...».Al tavolo erano seduti anche i ministri Calderoli e Tremonti. E di economia in effetti si è parlato, di quella «scossa» che serve sia ad assicurarsi voti nell’immediato, sia a segnare la prossima fase della legislatura. E non pare un caso che il titolare del Tesoro, poco dopo il vertice, faccia intravedere una riforma del sistema fiscale in tempi ragionevoli .
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