«La vera libertà di scelta c'è se include anche la maternità»
giovedì 4 gennaio 2024

In Italia il tifo calcistico è diventato la modalità per dirimere i problemi. Piace perché non è complicato, o sei bianco o sei nero, brutto o bello, buono o cattivo. Non costringe a pensare, chiede di abbracciare le sorti di quella tifoseria qualsiasi sia il suo destino. Alla stessa stregua, abbiamo il brutto vizio a livello politico di derubricare temi di rilevanza pubblica a lotta tra tifoserie. Qualsiasi problema, quando entra nell’agone politico, piuttosto che essere sviluppato e confrontato su terreni comuni percorribili viene traslato secondo le logiche delle tifoserie, seguendo così la strada della banalizzazione e delegittimazione delle opposte posizioni, a prescindere dalla valenza o meno dei contenuti.

È quello che è successo dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi della senatrice Lavinia Mennuni riguardo al tema della maternità. Il fatto di aver dichiarato che esiste un problema culturale su tale argomento ha fatto sollevare gli scudi di coloro che intravvedevano, dietro le sue parole, un retaggio storico che riporterebbe le donne a quando il loro unico destino era quello di diventare madri. Le parole della senatrice Mennuni hanno acceso gli animi, sono andate a toccare aspetti legati alla libertà di autodeterminazione. Il tema della maternità ha a che fare con l’emancipazione e con la dignità della donna. Erroneamente nel passato noi donne ci siamo illuse che l’emancipazione femminile passasse solo attraverso l’uguaglianza dei diritti con il mondo maschile, arrivando a volte a barattare la maternità con tutti gli altri diritti. Ci siamo illuse che il prezzo da pagare per raggiungere l’uguaglianza potesse consistere nel rinunciare a quanto ci rende uniche e insostituibili, la maternità. L’aspetto culturale è certamente un motivo predominante nella scelta di avere un figlio.

Non possiamo negare che siamo tutti figli di una cultura fortemente narcisista e individualista, più propensa a pensarsi in termini di benessere e di autocompiacimento che in termini di dono di sé. Tuttavia, il motivo culturale non può essere l’unico, né un alibi per scrivere un cahier de doléance. Potremmo farlo se la politica avesse messo in atto tutte le azioni e le infrastrutture sociali atte a sostenere la maternità, in termini di servizi, sanità, normativa del lavoro. Ancora troppo insufficienti e disorganiche le iniziative in tal senso. Le cause vanno dunque individuate anche altrove. Per prima cosa, in Italia manca ancora un consenso condiviso sul tema del “valore sociale” della maternità: questa rimane un tabù in molti ambienti. Pur sostenendo a parole tutti quanti l’emancipazione femminile – vedi le tifoserie di cui sopra – nei fatti, purtroppo, continuiamo a lasciare le donne sole nelle proprie scelte, senza adeguati supporti e servizi che le consentano di esercitare la maternità in piena libertà. In effetti, quindi, quello che è diventato un tabù è la libertà di diventare madri: troppi gli ostacoli che non ci permettono di fare una scelta pienamente libera e consapevole. Oggi la maternità è vista sempre più come un’opzione di realizzazione tra le altre, e non come una scelta che ha anche effetti sociali importanti. I grandi opinionisti o i giornali femminili e femministi si soffermano poco sul prestigio della maternità e sul suo valore sociale.

Per tali ragioni stenta ancora a partire un dibattito pubblico serio e coraggioso sul tema. A tutto questo aggiungiamo il fatto che, purtroppo, noi donne non riusciamo più a essere femministe fino in fondo, non riusciamo a integrare nelle nostre battaglie il tema del diritto alla maternità, che ormai è divisivo pure nel mondo femminile. La mancanza di una consapevolezza condivisa sul valore sociale della maternità ha portato con sé una serie di conseguenze di cui la grave crisi demografica è solo l’epilogo. Il valore sociale della maternità non riguarda solo l’universo femminile, ma quello relazionale uomo-donna, e questo è un altro tema spinoso. La maternità è stata derubricata a questione di genere, sollevando il mondo maschile da molte implicazioni. Le battaglie femministe, infatti, involontariamente hanno esonerato il mondo maschile da tutte le responsabilità sulla vita umana. Abbiamo delegittimato l’uomo/ padre da qualsiasi ruolo che non fosse quello meramente riproduttivo. Troppe le omissioni politiche su questi temi negli ultimi 50 anni, troppe le strumentalizzazioni ideologiche. Le inchieste del Forum delle Associazioni familiari fatte sul tema ci confermano che le condizioni ambientali, economiche e lavorative incidono fortemente nella scelta delle coppie di generare figli, e che spesso le restrizioni economiche costringono a ridimensionare i propri desideri di genitorialità.

Un figlio è un investimento di lungo periodo per una coppia, una scelta che oggi non è sostenuta da politiche di pari investimento. Bonus e leggine a tempo dominano le scelte del legislatore, piuttosto che investimenti in infrastrutture sociali di lungo periodo. Lo stesso assegno unico per figlio, che poteva costituire un importante incentivo alla natalità, a oggi – checché ne dicano le intenzioni politiche – vede ridimensionata la sua portata. C’è una “questione femminile” e il tema di una “cittadinanza incompleta delle donne” da rimettere al centro del dibattito pubblico, dove la voce “maternità” non può essere un aspetto marginale ma centrale, dove è necessario trovare – insieme, a prescindere da letture ideologiche - un linguaggio costruttivo e rispettoso della dignità della donna e del suo ruolo nella società.

Emma Ciccarelli fa parte del Consiglio direttivo del Forum delle Associazioni familiari

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