sabato 1 luglio 2023
Respinti, "dublinanti" espulsi e minori non accompagnati e famiglie sono il popolo della strada che si affolla alla frontiera italo-francese. Li aiutano solo Caritas, Diaconia, ong e associazioni
Quello che resta delle traversate al confine Italia-Francia

Quello che resta delle traversate al confine Italia-Francia - .

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Due morti annegati a riva a giugno e un centinaio di minori non accompagnati passati dalla Caritas solo a maggio su 2.190 persone assistite. E i dati di giugno sono destinati a crescere mentre in Francia i centri di accoglienza per gli under 18 stranieri sono al collasso. È arrivata un’altra estate di abituale emergenza a Ventimiglia dove, da quando è stata chiusa la frontiera dai francesi nel 2015, il tempo e i problemi si sono cristallizzati.

La città ligure di frontiera è la valvola di sfogo della situazione migratoria del Paese, che non è il centro di accoglienza europeo bensì una tappa in un viaggio che ha l’Europa centro settentrionale come meta e molti ostacoli che provocano tragedie. Stop ai flussi qui non ce ne sono mai stati, semmai rallentamenti di qualche giorno che trasformano la città in un tappo dove la politica e le istituzioni non fanno molto. A occuparsi dei migranti in strada e fornendo alcuni posti letto ai deboli sono volontariato e associazionismo. Il riferimento è sempre il centro di Caritas Intemelia dove lavorano bene insieme ai volontari la Diaconia Valdese e le Ong WeWorld e Save The children. Sono alle prese con i nuovi arrivi dagli sbarchi in Calabria e Sicilia che si fermano poco nei centri di accoglienza, poi con chi viene espulso o respinto in frontiera.

L’anno scorso la Francia ha fatto 33mila respingimenti, spesso senza riguardi per minori e famiglie con bambini. Emblematica la storia di una famiglia di otto persone proveniente dal Bangladesh e sbarcata a Roccella Ionica con quattro bimbi piccoli, una nonna e uno zio cieco bisognoso di cure. Ad aprile sono stati respinti dai francesi e hanno dovuto farsi mandare i soldi da un parente in Belgio per pagare il passatore dopo che un hotel li ha rifiutati perché il figlio di sette mesi non aveva documenti. Il piazzale della stazione è presidiato dalla polizia che controlla i documenti sui binari, allora chi non ha denaro per il passeur si incammina sul sentiero del Passo della Morte.

A Grimaldi superiore, piccolo paradiso incastonato sulla montagna sopra il valico di confine di Ponte San Ludovico e il mare cristallino dei Balzi Rossi, parte il cammino usato da migranti di ogni nazionalità per andare in Francia da oltre un secolo. Lo percorre spesso Enzo Barnabà, storico locale che ogni sera vede passare dopo il tramonto giovani in fila. Con l’apertura delle frontiere nei lontani anni ‘90 era caduto in disuso, ora da qui si sfidano le pattuglie della polizia francese appostate.
«Oggi per fortuna sanno tutti – spiega lo storico – che, passati i reticolati che chiudono la frontiera in cima, bisogna svoltare a destra della montagna della Giraude, perché a sinistra c’è il precipizio. E ultimamente, complici gli scioperi oltre confine delle forze dell’ordine, si passa magari dopo più tentativi». Ci avviciniamo alla radura del bivacco, accanto al viadotto dell’autostrada dove inizia il territorio francese. Gli abiti sparpagliati per terra, i trolley abbandonati, le bottigliette d’acqua e gli spazzolini raccontano viaggi. Le reti manomesse che separano il viottolo dal viadotto della autostrada lasciano intuire i rischi per chi ha troppa fretta di passare.

«La nuova emergenza sono i minori, – prosegue Barnabà, autore di volumi anche sull’emigrazione italiana in Francia – ne passano molti, soprattutto subsahariani. La soluzione? Abolire movimenti secondari e confini intra europei». Arriva il buio, nei prossimi giorni l’artista Marco Cavalli renderà fosforescenti queste pietre per creare un “sentiero delle stelle”.

Cibo e vestiti a Ventimiglia non sono un problema grazie alla solidarietà della società civile italo francese. Verso le 19 la cena viene distribuita davanti al cimitero da due parrocchie cittadine e associazioni che si alternano, il pranzo si distribuisce alla Caritas dove i migranti trovano anche vestiti, assistenza legale e sanitaria. L’emergenza è evidente, i migranti si fermano all’ombra dei ponti, si accampano davanti al futuro Pad, il Punto di accoglienza diffusa della prefettura, con 20 posti letto per i fragili. Al buio, dopo lo sgombero di maggio della tendopoli abusiva sul fiume per il degrado, provano a dormire alla marina di San Giuseppe in attesa di passare il confine. La chiusura del campo Roja tre anni fa ha trasformato la città ligure, stando al rapporto Caritas sulla povertà del 27 giugno in una sorta di capitale dei senza dimora, perché come tali hanno vissuto le circa 14 mila persone (la metà africani) concentrate nel 2022 al confine italo-francese nel tentativo di raggiungere altri paesi europei.

Migranti lungo il fiume Roja

Migranti lungo il fiume Roja - .

Alla foce del Roja, nonostante il divieto di balneazione per le correnti forti in italiano, arabo e francese si lavano e si rinfrescano a rischio della vita. Il primo migrante, senza nome, è morto il 6 giugno, l’altro il 20. Era noto e lo hanno ripescato a Bordighera.
«Era Said, giovane somalo – spiega Simone Alterisio responsabile del progetto frontiere della Diaconia valdese – respinto dalla Germania. Per il regolamento Dublino poiché era sbarcato in Italia, anche se si era costruito una vita lì, è stato espulso». Era transitato da Ventimiglia nel 2017 e, nonostante i tentativi di inserimento nei centri, ha iniziato a vivere in strada. La mancanza di prospettive lo ha depresso. «Veniva in Caritas - prosegue Maurizio Marmo, responsabile di Caritas Intemelia – a chiedere cibo e abiti». L’ultima mattina prima di morire Said aveva confidato la sua intenzione di farla finita. «Non sappiamo – conclude Alterisio – come sia andata, se si è buttato in mare o se invece non ha avuto la forza di uscire».

Davanti al centro Caritas si è formato un piccolo accampamento di minori eritrei e tigrini, lamaggioranza di quelli che stanno in strada. Li accoglie Save the Children che ha una equipe con mediatori eritrei attivi anche in strada. Molti ragazzi e ragazze, pensando di evitare perdite di tempo, non dichiarano la minore età a Lampedusa perciò in frontiera i francesi li respingono. I più sono fuggiti dai campi profughi del Tigrai nei quali era pericoloso restare per l’arrivo delle truppe eritree che li arruolavano a forza. «Ma la maggioranza che passa sono subsahariani francofoni provenienti dalla Tunisia – spiega Marmo – dove arrivano senza visto. Si fermano a lavorare in nero e poi si imbarcano a Sfax o a Zwara città libica confinante».

Una questione da decifrare è la tratta delle africane. Secondo i primi rilevamenti della rete italo francese Beyond the borders, le nigeriane sono state sostituite dalle ivoriane, la nazionalità maggioritaria tra gli oltre 60 mila approdati in Italia nel 2023, meno consapevoli di quello che le aspetta a Parigi o in Costa Azzurra. La Caritas accoglie in alcuni appartamenti donne sole e famiglie con bambini.

«Non è solo tratta a scopo sessuale, c’è anche lo sfruttamento lavorativo – spiega Serena Regazzoni, responsabile immigrazione di Caritas Intemelia –, ad esempio nella nostra casa abbiamo ospitato a febbraio due giovani ivoriane partite dalla Tunisia dopo aver lavorato in nero nell’agricoltura per pagarsi il viaggio. L’obiettivo era il nord della Francia dove cercano manodopera in nero nel lavoro domestico, nei campi, nei cantieri edili». Il “dopo Ventimiglia” poco noto per molti si rivela una delusione e porta alla spietata vita di strada nelle banlieue francesi che si prova a sopportare con le droghe. Molti respinti ed espulsi arrivano dalla frontiera con le teste barcollanti per i tranquillanti iniettati ai ribelli negli ospedali transalpini. Ma il flusso di giovani che credono di trovare fortuna Oltralpe o negli altri paesi europei non si ferma. Spesso posseggono solo un sogno e nessuno glielo può togliere.

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