mercoledì 10 febbraio 2021
Al via il 29 marzo, sono già 229 le parti civili che chiedono verità. Tre i filoni seguiti: la contaminazione del territorio, lo sversamento di sostanze nell’acqua e la possibile bancarotta
Protesta degli attivisti "no Pfas" di Greenpeace sul Canal Grande a Venezia negli anni scorsi

Protesta degli attivisti "no Pfas" di Greenpeace sul Canal Grande a Venezia negli anni scorsi - Ansa / Greenpeace

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Sarà il più grande processo della storia giudiziaria di Vicenza? Per saperlo occorrerà attendere il prossimo 29 marzo, ma di certo la vicenda della più grande contaminazione da Pfas, esplosa nelle cronache europee otto anni fa dopo uno studio promosso da Irsa e Cnr, sta ora per entrare nel vivo anche nelle aule del tribunale berico.

Sul banco degli imputati potrebbero finire in tutto 15 ex manager di diversa nazionalità di Miteni spa, l’azienda di Trissino, nel Vicentino che sarebbe la responsabile unica dell’inquinamento che ha avvelenato la seconda falda acquifera più grande del continente (quella di Almisano) fino ad arrivare nel sangue di almeno 350mila veneti.

Lo scorso 25 gennaio, il giudice per l’inchiesta preliminare Roberto Venditti ha posto le premesse per allineare i tre filoni di inchiesta su cui la Pro- cura vicentina, e in particolare i sostituti Hans Roderich Blattner e Barbara De Munari, hanno lavorato negli ultimi anni, e proprio la procura ha sollecitato l’unificazione in un unico maxiprocesso.

Il primo è relativo all’inquinamento storico, iniziato negli anni Sessanta. Il secondo, e più delicato, riguarda lo sversamento in ambiente delle sostanze fluorurate di nuova generazione (C6O4 e GenX) a partire dal 2014.

Sostanze che l’Ispra ha definito «sostituzione deplorevole» dei vecchi Pfos e Pfoa in un documento interno presentato durante l’incontro del 21 gennaio scorso al ministero dell’Ambiente sul Collegato ambientale, in cui si discuteva dei limiti agli scarichi da imporre proprio a queste molecole.

La scoperta dei veleni di nuova generazione nelle acque venete risale al 2018, dopo analisi dell’Arpav. In pratica, Miteni recuperava la sostanza da rifiuti olandesi provenienti dall’azienda Chemours De Namour (già Dupont) per poi reinviarla all’origine. L’Ong ambientalista Greenpeace, secondo cui Miteni ha ricevuto ogni anno almeno 100 tonnellate di rifiuti contenenti GenX, punta l’indice contro la Regione Veneto, rea di aver rilasciato nel 2014 un’autorizzazione integrata ambientale di fatto senza limiti allo sversamento nell’ambiente di questa molecola e parla di «gravissima negligenza » da parte di chi doveva controllare.

Infine c’è il filone d’inchiesta sulla possibile bancarotta fraudolenta alla base del fallimento di Miteni a fine 2018.

Le parti civili sono 229 nel solo primo filone, molte sono famiglie che hanno scoperto la contaminazione nel sangue dei figli dopo l’avvio del biomonitoraggio regionale, ora bloccato dall’emergenza Covid. Ma ci sono anche associazioni ambientaliste, gli ex lavoratori Miteni e le amministrazioni pubbliche, compresa la Regione Veneto, la quale per il primo filone ha fatto iscrivere le multinazionali lussemburghese e giapponese, Icig e Mitsubishi – già controllanti di Miteni –, tra i responsabili civili del processo e quindi obbligate a risarcire i danni in caso di condanna.

Con il giudice e gli avvocati della difesa trincerati dietro ai no comment, in questa fase a parlare sono proprio le parti civili. E a confermare che in ogni caso siamo davanti a un processo unico nel suo caso è Edoardo Bortolotto, legale di associazioni ambientaliste ma anche di una quarantina di ex dipendenti Miteni. «L’unico precedente in Veneto è il maxiprocesso per i fatti del Petrolchimico di Marghera, ma all’epoca le parti offese erano solo tra i lavoratori. In questo caso abbiamo centinaia di migliaia di cittadini coinvolti oltre a terreni e falde acquifere».

Nel 2001, nell’aula bunker di Mestre, i 28 imputati andarono tutti assolti nonostante le accuse di strage, omicidio e lesioni plurime per aver causato 157 morti per tumore tra gli operai. Tra le principali prove su cui punta l’accusa c’è la relazione dei carabinieri del Noe, redatta dal maresciallo Manuel Tagliaferri nel 2017, in cui si certifica che Miteni dal 1990 al 2009 ha incaricato società di consulenza leader a effettuare indagini sullo stato di inquinamento, ma a fronte di presenze di benzotrifluoruri e Pfas non ha mai trasmesso i risultati alle autorità competenti. Ma la Procura di Vicenza, e in particolare la sostituta Alessia La Placa, sta lavorando anche a un quarto filone, tutto dedicato agli ex lavoratori.

Cosa vuol dire Pfas

Le sostanze perfluoro alchiliche (Pfas) sono composti chimici usati dagli anni Cinquanta per rendere tessuti e carta resistenti all’acqua e ai grassi, quindi servono ad esempio per contenitori alimentari e detergenti. Dal 2000, dopo la scoperta della loro persistenza nelle falde acquifere, sono stati sostituiti con sostanze modificate ma purtroppo con esiti ancor più negativi per l’ambiente.

I numeri di un dramma

350mila Gli abitanti del Veneto serviti dalla falda acquifera inquinata

100 Tonnellate di sostanze fluorurate recuperate e trattate ogni anno

15 Gli ex manager Miteni a processo

229 Le parti civili in cerca di giustizia





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