mercoledì 2 dicembre 2020
Una banda "paramafiosa", sfruttava violentemente i braccianti. In manette 10 pakistani e un'italiana. Indagati anche alcuni imprenditori. Il 3 giugno l'omicidio del coraggioso operaio
Adnan Siddique

Adnan Siddique - Ansa

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Adnan Siddique, pakistano di 32 anni, aveva ragione a denunciare i caporali che sfruttavano i suoi connazionali e anche immigrati africani. Il 3 giugno ha pagato con la vita la sua scelta il difesa dei diritti dei braccianti nelle campagne della provincia di Caltanissetta. Sei mesi fa è stato ucciso a coltellate, proprio per le sue denunce. Questa mattina dieci pakistani e un'italiana sono stati arrestati con le accuse di associazione per delinquere finalizzata al caporalato, estorsioni, sequestro di persona, rapine, lesioni aggravate, minacce, violazione di domicilio, violenza o minaccia per costringere a commettere un reato. È l'operazione "Attila" dei Carabinieri di Caltanissetta e della Squadra mobile della Polizia, coordinati dalla Procura nissena.

Secondo l’accusa il gruppo, formato da pachistani da tempo residenti nel centro della città , "agendo con metodo paramafioso, ha assoggettato la comunità di appartenenza sottoponendola ad un regime di vessazione e terrore e sfruttandola professionalmente al fine di assicurare all’associazione continuità nel tempo". Durante le perquisizioni eseguite la notte scorsa nell’ambito del blitz denominato sono stati trovati in casa di uno degli arrestati due libri mastri, tuttora al vaglio della Procura, nei quali erano descritti i nomi dei lavoratori sfruttati e il compenso.

Leader indiscusso del gruppo era Mahammad Shoaib già arrestato con altri cinque complici per l'omicidio di Adnan Siddique. Ora la retata che conferma le sue denunce. I braccianti venivano "offerti" ai titolari di aziende agricole "in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, accordandosi sull’entità del compenso, che si aggirava sui 25-30 euro al giorno, e trattenendo per sè una parte o persino la totalità del corrispettivo". Chi si lamentava era vittima di durissime spedizioni punitive, come un nigeriano colpito con bastoni e spranghe per avere chiesto la sua paga. Coinvolti nell’indagine anche i titolari delle imprese agricole dove i pakistani venivano condotti a lavorare perchè, accusano carabinieri e polizia, "trovavano conveniente rivolgersi ai caporali loro connazionali perchè ben consapevoli che nessuna denuncia sarebbe mai potuta intervenire a danneggiarli, proprio per le condizioni di sfruttamento dei lavoratori".

Tra le violenze emerse dopo avere chiesto a un pakistano la somma di 300 euro quale profitto dell’intermediazione illecita finalizzata al caporalato, la banda ha sequestrato per tre ore la vittima, puntando un coltello alla gola, e intimando di chiamare il padre in Pakistan allo scopo di farsi mandare 5 mila euro per ottenere la sua liberazione. In un’altra occasione è stata aggredita una nigeriana mentre stringeva tra le braccia suo figlio di appena un anno, rapinandola di 200 euro. Il marito della donna è stato poi aggredito con calci e pugni. Hanno addirittura costretto un ghanese, puntandogli un coltello alla gola, a commettere un furto presso una casa di campagna e poi gli hanno tolto anche la somma di 600 euro che aveva con sè. È contestata anche un’irruzione, con pistola e coltelli in una comunità per minorenni, pestando due degli ospiti dopo un banale diverbio con un altro ragazzino, che aveva chiesto l’intervento del boss della banda per "punirli". Violenze che erano poi sfociate nell'omicidio di Adnan Siddique che proprio queste vicende era andato a denunciare. Lui non faceva il bracciante ma l'operaio, addetto alla manutenzione di apparecchiature tessili. Ma aveva raccolto le lamentele di alcuni suoi connazionali che lavoravano nelle campagne diventando il portavoce dei braccianti sfruttati. Per questo era stato punito. L'operazione "Attila" riconosce, purtroppo tardi, questa sua scelta generosa.

Una vicenda che conferma la necessità di tutelare chi decide di denunciare. La legge anticaporalato del 2016 ha dato importanti strumenti alle forze dell'ordine e alla magistratura per colpire i carnefici. Ora, sulla scia di quello che stanno facendo alcune procure, come Foggia e Prato, è sempre più necessario difendere le vittime. Anche con nuove norme.

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