domenica 14 dicembre 2014
​Giuseppe Roma (Censis): il riscatto può partire solo dal basso, serve una grande mobilitazione che parta dalle periferie coinvolgendo parrocchie, municipi e scuole.
Corruzione, a Roma scuse da chiedere e anima da ritrovare di Andrea Riccardi
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«Solo una rete di onesti, volenterosi e competenti, che parta dal basso, potrà salvare la Capitale dal fango di questi giorni». Giuseppe Roma, per lunghi anni direttore generale del Censis e profondo conoscitore della città, accoglie e rilancia l’idea di Andrea Riccardi – proposta ieri su Avvenire di una 'Costituente per Roma'. «Riccardi – spiega – ha ragione. Roma mi fa venire in mente l’immagine di un funambolo che cammina pericolosamente su un filo steso tra due grattacieli. Ha bisogno di una rete perché non si sfracelli». Roma è molto cambiata in questi anni. È cresciuta a dismisura, ma in modo disordinato... Ho l’impressione che spesso non ci si renda conto che Roma è, per numero di abitanti, la quarta città più grande d’Europa, dopo Londra, Parigi e Madrid. Roma non è più soltanto la città del Colosseo e di San Pietro. La città è costituita essenzialmente dalla sua sterminata periferia. È una periferia abbandonata a se stessa, dove non funziona nulla: trasporti, servizi, sicurezza. E oggi, più ancora della povertà, il problema delle periferie è la solitudine. Ormai, la maggioranza dei nuclei familiari sono costituiti da una persona sola. E, anche il conseguenza di questo, il ceto medio non esiste più. Senza contare che i partiti hanno chiuso le sezioni. La città presenta un tessuto sociale molto sfilacciato. E la popolazione sembra fatalmente rassegnata... E allora da chi dovrebbe essere costituita questa rete? È vero, è una caratteristica antica dei romani quella del fatalismo, della sfiducia, della critica acre ma mai costruttiva. Io però giro per la città e vedo, specie in periferia, tanta solidarietà, tanta onestà e tanta voglia di mettersi al servizio della comunità gratuitamente. Io credo che il criterio principale di questa rete a cui penso sia quello di coinvolgere persone, gruppi, associazioni che non hanno a che fare con il denaro pubblico. Per questo mi sono fatto l’idea che la riscossa di Roma possa e debba partire: a) dalle parrocchie, che non navigano certo nell’oro e che rappresentano spesso l’unico punto di aggregazione delle persone; b) dalla classe politica che ruota intorno ai municipi, che notoriamente non sono dispensatori di fondi; c) dalle scuole, anche loro da sempre senza una lira, ma pervase da una grande voglia di fare. Se sovrapponiamo su una griglia le trame di queste realtà, unendole a quelle delle tante associazioni che operano sul territorio senza fini di lucro, riusciamo a creare una rete abbastanza fitta per reggere il colpo di una città che rischia di schiantarsi. Le inchieste disegnano una classe dirigente locale complice o impotente davanti alla corruzione. Ma anche la classe dirigente nazionale sembra da tempo aver abbandonato Roma al suo destino... Il problema di Roma è duplice: l’onestà e la mancanza di un progetto. In tutta Europa le grandi città sono diventate delle vere risorse. L’aumento della qualità della vita non è solo un servizio erogato, ma un fattore capace di generare ricchezza. I trasporti pubblici funzionano e sono in attivo, producono utili e occupazione. Stesso discorso per la sanità e l’assistenza. Per non parlare della cultura, che poi è un problema nazionale: tutti i musei e i monumenti italiani fatturano solo 200 milioni l’anno, come una azienda di dimensioni medie. A Roma, invece, scopriamo che l’Atac ha un buco senza fondo, che l’Ente Eur è sull’orlo del fallimento – che sarebbe come dire che a Parigi fallisce il centro direzionale Défense, una cosa inimmaginabile! – e che la vera preoccupazione di qualcuno è di ottenere un finanziamento o qualche assunzione nel pubblico a fini clientelari. Siamo indietro di anni. E di soldi pubblici ce ne saranno sempre meno. Per questo serve una svolta. Con una classe dirigente così non c’è il rischio che qualunque idea, qualunque progetto per Roma finisca impantanato? A Roma ci sono tante opere pubbliche incompiute: veri monumenti allo spreco e all’inefficienza, pensiamo allo Stadio del nuoto o alla Nuvola di Fuksas. Ma ricordiamo anche quello che è successo per il Grande Giubileo del 2000: centinaia di realizzazioni portate a termine senza ritardi, riqualificazione del tessuto urbano, nessuno scandalo, nessuna clientela. È filato tutto liscio come un orologio. Perché? Perché sono state coinvolte attorno a un progetto chiaro persone oneste, volenterose e capaci. Perché le regole e i controlli sono stati efficaci. Occorre ripartire da qui. 
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