mercoledì 3 dicembre 2008
La Fondazione Agnelli scatta la fotografia del corpo docente: nella scuola statale ai 750mila posti di ruolo si aggiungono i 90mila sul sostegno e quasi 100mila supplenti per brevi periodi.
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In Italia «rischia di saltare una generazione di insegnanti» e questo potrebbe avere «conseguenze molto dannose sulla qualità dell’istruzione, soprattutto in un momento di grande e rapida evoluzione dei saperi e delle tecnologie». Insomma il futuro potrebbe riservare una grande frustrazione per gli attuali precari e per i giovani che aspirano alla professione. È il grido d’allarme che emerge dalle anticipazioni del Rapporto 2009 realizzato dalla Fondazione Giovanni Agnelli: una fotografia del mondo docente italiano, scattata alla luce delle recenti scelte del governo. Ma anche proiettata in una prospettiva futura. La scelta di anticipare un capitolo del Rapporto che sarà presentato nella sua completezza nel febbraio 2009, è stata fatta dalla Fondazione proprio per offrire un contributo oggettivo al dibattito provocato dall’annuncio di voler ridurre di oltre 87mila unità il personale docente nel prossimo triennio. Decisione che ha mobilitato la piazza e sta ancora animando il corpo docente (e non solo).Ma quanti sono gli insegnanti in Italia? Ma soprattutto sono davvero in eccesso rispetto alle necessità? Il Rapporto risponde alla prima domanda fissando complessivamente in oltre un milione i docenti italiani. È la somma di 840mila docenti di scuola statale (750mila su cattedre di fatto e 90mila sul sostegno), 25mila docenti di religione, 35mila docenti di scuole degli Enti locali, 80mila docenti delle paritarie e altri 100mila insegnanti dotati di abilitazione e impegnati in supplenze brevi.Proprio quest’ultima cifra apre uno dei capitoli più delicati: il precariato. Infatti degli oltre 840mila insegnanti che «prestavano servizio nella scuola statale lo scorso anno scolastico – precisa il Rapporto –, circa 700mila erano assunti a tempo indeterminato, cioè sono di ruolo. Dei restanti 142mila, 22mila hanno una supplenza annuale, mentre 120mila hanno un contratto da settembre a giugno». Se a questi aggiungiamo i 100mila che hanno supplenze brevi, il fronte dei cosiddetti precari risulta composto da 240mila persone. «Un piccolo esercito di docenti spesso in attesa di un posto di ruolo da più di dieci anni – sottolinea il Rapporto della Fondazione – e che vede rallentare, se non addirittura sospendere, l’immissione in ruolo nei prossimi anni». Una prospettiva negativa condivisa con «quei giovani che aspirano a diventare insegnanti e che sono ancora nella fase della loro formazione». Ecco, dunque, la generazione di docenti che rischia di «saltare». Non solo. Questo «salto» potrebbe avere ripercussioni sulla qualità dell’intero sistema – sottolineano i curatori del Rapporto – perché viene meno l’importante passaggio di consegne tra una generazione professionale e l’altra, che sta alla base della prosecuzione di un patrimonio educativo del sistema scolastico stesso».Neppure la previsione del pensionamento annuale di 30mila professori (visto anche l’alta età media del nostro corpo docente, intorno ai 50 anni) rappresenta una prospettiva per gli aspiranti prof. Anche perché, come dimostrano i dati contenuti nel Rapporto, «la scuola italiana ha continuato ad assumere personale indipendentemente dall’andamento del numero di studenti», che a partire dagli Anni Ottanta «è costantemente scesa, passando dal picco di 10 milioni di iscritti del 1978 al minimo di 7 milioni e mezzo del 2000». Da parte loro i docenti, dopo la triplicazione nel periodo 1951-1978 (che ha coinciso con il varo della media unica e l’innalzamento degli anni della scuola dell’obbligo), hanno continuato a salire da 732mila fino a 900mila, attestandosi «negli anni più recenti intorno a quota 850mila». E così il rapporto studenti/insegnante vede l’Italia ben al di sotto della media europea. Inoltre evidenzia una «anomalia» tutta nostrana: mentre negli altri Paesi si registra un rapporto docente-studenti sensibilmente più alto nella scuola primaria (dove prevale il maestro prevalente) per poi ridursi nella scuola media e superiore (dove subentrano le singole discipline, ognuna con un docente), in Italia si registra una certa omogeneità in tutti e tre gli ordini di scuola.Un bene o un male? Di certo «questa abbondanza relativa di docenti in Italia si accompagna, rispetto alla media europea, a un numero minore di ore di lezione, a classi più piccole e a stipendi inferiori di un buon 10%» sottolinea il Rapporto.
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