venerdì 6 marzo 2009
Il colonnello Ruscigno: abbiamo ricostruito 17 episodi di sequestro di persona e diversi pestaggi. Molti anche i documenti falsificati.
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«Altro che l’immagine stereotipata dello scafista improvvisato, che a volte emerge in riferimento alla tratta di persone. Le persone che abbiamo arrestato si erano organizzate scientificamente, costituendo una banda ramificata in vari Paesi, capace di trarre un enorme profitto dal flusso di disperati che arriva dalle coste libiche: 4mila euro per ogni immigrato, adulto o minore, fatto arrivare in Italia e fatto fuggire da un centro. Altri 700 per liberarlo, se l’avevano sequestrato. E fino a 1.500 euro per ogni passaporto falsificato. Niente veniva lasciato al caso. E gli immigrati che parlavano troppo o si ribellavano e venivano malmenati o venivano segregati senza cibo… » . Il tenente colonnello dei carabinieri Domenico Ruscigno ha guidato il gruppi di investigatori del Ros che, dal 2005, si è occupato dell’indagine « Addih’b » . « Un termine che significa ' lupo'. L’abbiamo usato perché, in alcuni casi, gli immigrati sequestrati venivano rinchiusi in casolari in mezzo ai boschi della Calabria. Posti freddi e desolati, da lupi appunto... » . Documenti falsi, basisti in Libia e nei centri d’accoglienza, pagamenti tramite money transfer. Si trattava di trafficanti « professionisti » , a modo loro… Erano soggetti esperti e, in qualche caso, molto pericolosi. Abbiamo documentato 17 episodi di sequestro di persona: alcuni immigrati ci hanno raccontato di esser stati sorvegliati da elementi della banda muniti di armi e di esser stati trattati brutalmente quando osavano lamentarsi. Durante le perquisizioni avete trovato armi? No. Ma abbiamo trovato molti documenti, ben falsificati, realizzati da un cittadino ugandese residente a Palermo. E va detto che anche la sola attività d’intercettazione telefonica, che si è rivelata essenziale ai fini dell’indagine, non è stata affatto agevole. Per quale motivo? Perché gli indagati disponevano di molte sim e le cambiavano in continuazione. Siamo stati bravi ma anche fortunati nel riuscire ad agganciare, di volta in volta, le utenze giuste per ricostruire l’attività e la composizione del network criminale. Gli indagati avevano contatti con le mafie italiane, tradizionalmente attente a quanto avviene nel Sud? Nel corso delle indagini non è emerso nulla, nemmeno il più piccolo segnale, di accordi o contatti del genere. Fra le persone alle quali ancora date la caccia, c’è anche il presunto capobanda? Sì. Secondo le risultanze delle indagini, la ' mente' del gruppo è il cittadino sudanese Azzeddine Edris Mousa. È nato nel 1976, ma sarebbe già nel ramo, secondo quanto abbiamo appurato, da 4- 5 anni. Era conosciuto anche con vari alias, come ' Salim' o ' Husni'. E aveva costruito la banda facendo leva anche sull’appartenenza etnica. Era lui che diceva agli altri stranieri: siamo sudanesi, mica marocchini o eritrei. E con noi non si scherza...
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