giovedì 20 giugno 2013
Il CeIS traccia l’identikit del ludopatico: 45enne, con diploma superiore, indebitato e depresso.
COMMENTA E CONDIVIDI
Uno su 100 è depresso per i debiti di gioco d’azzardo. Addirittura il 14% pensa al suicido come estrema e disperata soluzione. Sono i dati agghiaccianti che emergono dall’indagine realizzata dal Centro Italiano di Solidarietà (CeIS) di don Mario Picchi sul tema delle dipendenze dal gioco nella Capitale.Il CeIS, nato nel 1971 dall’intuizione di don Mario Picchi - scomparso nel 2010 - per affrontare l’allora inedito dramma della tossicodipendenza, dal 2011 raccoglie dati sui malati di gioco d’azzardo che chiedono aiuto per liberarsi dalla loro dipendenza, nella comunità di recupero di Roma e nel centro di San Carlo. Il percorso di affrancamento si chiama - non casualmente - Rien ne va plus, la frase con cui i croupier chiudono le giocate.Gli utenti provengono tutte le zone di Roma (2/3), ma anche dai comuni limitrofi dei Castelli romani (1/3). L’età media è di 45 anni, con casi limite di persone sotto i 25 anni e alcune sopra i 75 anni. La proporzione tra maschi e femmine è di 3 uomini per 1 donna, ma sono numerose le donne che si sono rivolte al servizio per richiedere informazioni, per abbandonare successivamente il percorso. In crescita anche il numero di richieste d’aiuto provenienti da cittadini dell’Europa dell’Est: romeni, moldavi, ucraini. La maggiore parte delle persone accolte è sposata con figli. Per quanto concerne l’aspetto lavorativo risulta che i gioco-dipendenti sono ugualmente divisi tra pensionati, impiegati e lavoratori autonomi. Non ci sono disoccupati. Il livello medio di istruzione è la media superiore. La fascia di reddito oscilla tra i 10 e i 25mila euro annui. In base alle interviste realizzate dagli operatori il gioco che provoca più dipendenza è la slot machine.Il CeIS svolge attività di promozione e prevenzione soprattutto nei Pronto Soccorso degli ospedali romani: è lì che molti giocatori patologici finiscono, dopo aver tentato il suicidio. Diffusi anche gli stati di depressione.«Da sempre le persone tentano la fortuna – spiega Roberto Mineo, presidente del CeIS Don Picchi – ma mentre alcuni giochi come la roulette, le scommesse sportive o le macchinette automatiche, da tempo sono saldamente ancorate nella nostra cultura, altre si sono aggiunte negli ultimi anni. Nel gioco si cercano la suspense, l’eccitazione e il divertimento. È l’attrattiva della possibile vincita a rendere i giochi d’azzardo così affascinanti». Secondo Mineo «quando il gioco d’azzardo diventa patologico, ha conseguenze pesanti non solo per chi ne è colpito, ma anche per i familiari». Arrivati al CeIS, racconta Mineo, quasi tutti ripetono lo stesso ritornello: «Una volta che comincio a giocare, smetto solo quando non ho più soldi. Se vinco continuo a giocare, per vincere ancora di più; se perdo, devo continuare a giocare, per rivincere i soldi persi». «Oltre ai riflessi negativi sulle relazioni familiari, per scuse e menzogne – dice il responsabile CeIS – sono soprattutto le difficoltà finanziarie a pesare: i debiti e le continue discussioni con i creditori e le banche spingono anche i parenti ai limiti delle proprie forze. Quanto prima il gioco d’azzardo patologico viene diagnosticato, tanto più alte sono le possibilità di uscire da questa forma di dipendenza. L’offerta di giochi si amplia continuamente. Ma le misure di protezione, prevenzione e cura vengono trascurate».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: