domenica 3 aprile 2016
Le accuse del magistrato della Dna esperto di delitti ambientali
Pennisi: «Un crimine dalla faccia pulita»
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Da 35 anni lotta contro ’ndrangheta e ecomafie Roberto Pennisi è consigliere della Direzione Nazionale Antimafia, per cui da anni si occupa di redigere nel rapporto annuale il capitolo dedicato ai crimini ambientali. Da 35 anni in magistratura non ha mai risparmiato appunti e critiche alla normativa ambientale, e nemmeno ad alcuni colleghi, chiedendo in particolare l’approvazione degli ecoreati, giunta finalmente lo scorso anni. Si è occupato di criminalità organizzata, in particolare di ’ndrangheta come sostituto procuratore a Reggio Calabria occupandosi di sequestri di persona e traffici di droga, ma anche dei legami tra politica e cosche. Con importantissimi risultati. In particolare va ricordato il record assoluto (oltre 80 condanne definitive all’ergastolo) segnato dal processo “Tirreno” contro le potentissime cosche dei Piromalli-Molè della Piana di Gioia Tauro. Nel 2015 è stato applicato a Brescia, in vista della neonata sezione della Dia. Non a caso proprio in un territorio dove il problema dell’inquinamento ambientale tiene banco tra nuovi inquinamenti e soprattutto bonifiche. «Il crimine ambientale ha la faccia pulita», viene praticato «dai cosiddetti 'uomini per bene'» e «con i quali nessuno ha difficoltà a interfacciarsi. Questo rende ancora più pericoloso questo crimine. Perché consente loro, ancor più del crimine mafioso, d’insinuarsi nei gangli vitali della società e corromperli per i propri fini». Roberto Pennisi, uno dei vice del capo della Direzione nazionale antimafia, è l’esperto alla Dna di crimini ambientali. Non può che sapere e quindi avere idee chiare sulla situazione lucana, ma non solo. Non può parlare apertamente, a inchiesta in corso (e appena agli inizi...), ma lascia 'intendere'. A proposito, cosa sta accadendo in Basilicata? «L’autorità giudiziaria lucana ha iniziato un’indagine su un traffico illecito dei rifiuti. E come ormai avverrà sempre, in ogni indagine impostata correttamente, verranno fuori altri fatti. Inevitabilmente». Chi sono gli attori del crimine ambientale, dottor Pennisi? Il traffico di rifiuti non è un delitto di mafia, ma d’impresa: facendo capo quindi a centrali economico-finanziarie di grande rilievo, inevitabilmente vengono fuori i rapporti con gli altri poteri. Rapporti però da tenere ben nascosti. Il traffico di rifiuti è uno dei crimini più pericolosi per la società: gli altri poteri sono ovviamente restii a interfacciarsi con le mafie, nessuno naturalmente dirà mai d’avere rapporti con una cosca, farlo invece con la faccia pulita del crimine ambientale non crea problemi. Chi tira le fila? Il principale burattinaio è l’imprenditore deviato. Che, quando deve disfarsi di ciò che non gli serve più, quello che noi chiamiamo 'rifiuto', piuttosto che seguire le strade della legge, ritenendole costose, imbocca la strada dell’illegalità. Anche se i rifiuti magari sono tossici o radioattivi? Quando l’imprenditore deviato ha a cuore solo il proprio interesse economico, non gli interessa nulla se il suo rifiuto o meno. Ma le dico di più: qualsiasi rifiuto, anche non pericoloso, se non è trattato come previsto dalla legge, è nocivo per la collettività. Certo che da solo, un imprenditore, non può appunto trafficare rifiuti... Intanto il crimine mafioso è in una posizione subordinata, diventa un servo. Voi siete tanto innamorati della parola 'ecomafie', ma non avete idea dei danni che ha provocato. Quali sarebbero? È servita a garantire per lungo tempo ai veri poteri criminali ambientali l’impunità. Una parola che ha consentito di non individuare il vero nemico da combattere. Vede, ad esempio non esistono quasi più discariche abusive, oggi il problema è l’utilizzo illegale delle discariche autorizzate. Quasi sempre col giochino di truccare il codice Cer, come sembrano aver fatto anche in Basilicata? Bravo. Certo. Ma quanto è realmente diffuso nel nostro Paese tutto questo? Poco è ciò che emerge, molto probabilmente ciò che è. Dottor Pennisi, c’è un’altra questione già esplosa anche in Basilicata, ma ancor prima in situazioni simili, da Taranto in poi: quella sorta di frequente 'incompatibilità' fra lavoro e ambiente. È attraente l’economia che si sviluppa, che va forte e quindi dà lavoro: ecco, non vorrei che dietro tutto questo ci fossero invece interessi di altro tipo. Però è comunque una scelta. Può essere politica e condivisa dalla gente. Vero, ha ragione. Ma non si parli allora di 'protezione dell’ambiente' e lo si dica apertamente: per noi, rispetto all’ambiente, è prioritario creare posti di lavoro. E si dica anche alla madri che hanno i loro bambini in ospedale, ammalatisi per via dell’inquinamento ambientale, che il sacrificio dei loro figli è giusto, perché negli interessi della collettività. Come si esce da tutto questo? Solo attraverso una seria e avveduta azione di contrasto attuata dalla magistratura e dalla Polizia giudiziaria: in questo momento non vedo altre strade. Nemmeno la politica? Questa mi interessa solo nel momento in cui, da un atto politico, nasce una legge. (La videointervista al sostituto della Dna Roberto Pennisi è on line sul sito www.avvenire. it e sul nostro canale Youtube)
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