domenica 10 novembre 2019
Più tasse ai pesticidi e cibo più "green" (ma anche più costoso). Dall’Europarlamento la proposta di incentivare gli agricoltori che aderiscono alle filiere di qualità
Ue, ecco la svolta ecologica in agricoltura
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Poco prima di sciogliersi, il vecchio Europarlamento ha proposto di incentivare gli agricoltori che aderiscono alle filiere di qualità. Se quest’indicazione dovesse essere confermata nella riforma della Pac (Politica agricola comune, ndr) in discussione, sarebbero contenti i produttori di grano, pesantemente danneggiati dagli accordi con il Canada. Subito dopo le elezioni, però, l’Eliseo ha iniziato a premere per incentivare le aziende che impiegano più manodopera: una prospettiva che tornerebbe vantaggiosa all’ortofrutta e non alla cerealicoltura, fortemente meccanizzata. Insomma, il profumo del pane quotidiano, che è al centro della 69° giornata nazionale del Ringraziamento, è destinato a cambiare insieme ai finanziamenti pubblici all’agricoltura. Non solo soltanto ad Altamura, dove si celebra la giornata, ma in tutta Europa, dove si studia la sesta riforma della politica agricola comune in trent’anni. Per la Comunità europea, che annovera 500 milioni di consumatori, l’agricoltura è stata fin dall’inizio uno strumento di integrazione: prima per garantire l’indipendenza alimentare del continente in caso di nuovi conflitti; poi per portare le campagne al passo delle città, in termini di tenore di vita; quindi per assicurare ai consumatori sicurezza alimentare e prezzi ragionevoli; infine per presidiare il territorio, utilizzando la rete delle aziende agricole per intervenire sul doppio fronte caldo del dissesto idrogeologico e della tutela ambientale. La Politica agricola comune è nata a Stresa nel 1958. Fin da allora, è orientata a difendere le piccole imprese agricole. Dieci anni più tardi si creò il mercato unico agricolo e gli strumenti della Pac inziarono a mostrare la corda: il sistema dei prezzi d’intervento generava delle eccedenze insostenibili per le casse di Bruxelles. Le prime riforme, dal 1993 in poi, furono caratterizzate da tagli draconiani, ma la spesa agricola (58 miliardi nel 2018) restò comunque prioritaria nel bilancio europeo. Si decise tuttavia di modificare la motivazione dell’aiuto, conservando solo una quota a sostegno del reddito delle imprese: il 'primo pilastro', via via disaccoppiato dalla produzione, oggi vale 43 miliardi; i restanti venti sono investiti in misure volontarie (secondo pilastro), gestite dalle Regioni, legate prima allo sviluppo rurale e poi, sempre più decisamente, all’ambiente e alla biodiversità. La riforma che è alle porte aumenta sia la volontarietà che il carattere ambientale delle scelte aziendali che l’Europa finanzia. Oggi, l’agricoltore europeo riceve degli aiuti disaccoppiati, alcuni aiuti accoppiati (solo per alcune colture) e altri contributi collegati a misure di sviluppo rurale (nei relativi Psr, le Regioni emettono dei bandi per finanziare parte degli investimenti e si può aderire o meno); tutti quanti sono assoggettati al rispetto dell’ambiente e degli animali (condizionalità), ossia chi sgarra si vede decurtare la cifra promessa. Complessivamente, gli aiuti ammontano in Italia a 5,5 miliardi di euro all’anno. La riforma della Pac post 2020 prevede tre regolamenti che vedranno la luce solo dopo la Brexit, perché solo allora si potrà chiarire il quadro finanziario. Nei giorni scorsi si è discusso dei tagli annunciati dalla Commisione europea: noi rischiamo una riduzione di 370 milioni nel 2021 con il passaggio dal nuovo al vecchio Quadro Finanziario Pluriannuale (QFP); le insidie del percorso sono ricostruite da Paolo Magaraggia di Coldiretti nel terzo Quaderno della serie 'Dove sta andando la Pac', edito dalla confederazione agricola. Dalla Brexit, tuttavia, non dipende solo la riduzione del budget agricolo di circa tre miliardi di euro all’anno. Se il voto britannico dovesse riaprire i giochi sarebbe inevitabile uno slittamento della Pac, ben oltre il 2022. Ciò che non cambierà è la svolta ecologica introdotta dal New Green Deal della nuova Commissione, tant’è vero che i francesi stanno già mettendo le mani avanti: loro, che hanno la cerealicoltura più forte d’Europa, hanno subito sposato la linea di tassare i pesticidi a patto che i proventi restino in ambito rurale - per finanziare ad esempio le misure agroambientali e il biologico, piuttosto che quelle aziende che creano più posti di lavoro - e non siano dirottati invece su misure che nulla hanno a che fare con la ruralità. Questo però significa che l’agricoltura europea si prepara a uscire rapidamente dalla competizione sul cibo low cost per convertirsi alla qualità e al 'green'; in tal senso, la Commissione agricoltura di Strasburgo ha approvato a larghissima maggioranza un parere dell’italiano Paolo De Castro in difesa dell’ortofrutta. Il rinverdimento della Pac non significa che spariranno gli aiuti ad ettaro, ma che le norme della condizionalità diverranno più stringenti e pervasive. Di fatto, il 60% di tutti i finanziamenti sarà 'incastrato' nel rispetto dell’ambiente. Sui prodotti chimici più impattanti calerà la mannaia fiscale: chi li vorrà usare non solo non prenderà i soldi europei, ma vedrà lievitare i prezzi di diserbanti e insetticidi. Non cambierà granché nei meccanismi redistributivi della Pac: resta la convergenza, con cui si cerca di allineare gli aiuti a superficie intorno a un valore medio; restano alcuni aiuti accoppiati; resta il capping, ossia il tetto massimo ai pagamenti; resta la qualifica preferenziale di agricoltore attivo, che penalizza le società immobiliari; restano anche i regimi speciali per ortofutta, olio d’oliva, miele, vite e altri settori, che saranno a scelta dei singoli Paesi, nel limite del 3% della loro dotazione finanziaria. Quel che cambia sono l’organizzazione degli aiuti e il sistema dei controlli: non saranno più centralizzati in Europa ma dipenderanno da un piano nazionale di ciascuno Stato membro per la qual cosa si è parlato di una rinazionalizzazione della Pac - che dovrà prevedere dei precisi 'schemi ecologici' nei pagamenti diretti, in aggiunta alle misure agroambientali previste nello Sviluppo Rurale. Questo nuovo ruolo degli Stati, cui è richiesto di aumentare e garantire l’efficacia ambientale dei soldi europei che vengono spesi in agricoltura, potrebbe essere tuttavia una zeppa nell’iter di riforma. Già, perché i tedeschi hanno già organizzato tutto e sono pronti a partire con la Pac post 2020, mentre altri Paesi, tra cui l’Italia, chiedono una proroga. Ma lunga…

Dall’Europarlamento la proposta di incentivare gli agricoltori che aderiscono alle filiere di qualità. Ma l’indicazione deve essere ancora confermata nella riforma della Pac (Politica agricola comune). I produttori di grano sarebbero i primi beneficiari Il nuovo documento post 2020 prevede regolamenti che vedranno la luce solo dopo la Brexit, perché solo allora si potrà chiarire il quadro finanziario. Intanto dei tagli annunciati dalla Commissione europea l’Italia rischia una riduzione di 370 milioni nel 2021

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