giovedì 4 maggio 2023
Il commissario europeo Breton presenta il «terzo pilastro» per fornire proiettilie missili a Kieve «per sostenere l’industria della difesa». M5s e Si protestano
Il Commissario Ue al Mercato interno Thierry Breton

Il Commissario Ue al Mercato interno Thierry Breton - ANSA

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Aiutare le imprese della difesa Ue ad aumentare la produzione di munizioni e missili, anzitutto per sostenere l’Ucraina. E questo con fondi Ue e degli Stati membri incluso il Pnrr. La Commissione Europea presenta la sua proposta che costituisce il terzo «pilastro» della decisione del 20 marzo scorso degli Stati membri di fornire almeno un milione di munizioni all’Ucraina l’anno, oltre a missili, che peraltro non ha mancato di suscitare roventi polemiche in Italia. Parliamo della «Legge in sostegno della produzione di munizioni», in sigla inglese Asap, che è anche l’acronimo per «as soon as possibile», il più presto possibile, che dovrà passare il vaglio degli Stati membri e del Parlamento Europeo. «Vogliamo – ha dichiarato il commissario al Mercato Interno Thierry Breton - sostenere direttamente, con i fondi dell’Ue, il potenziamento della nostra industria della difesa per l’Ucraina e per la nostra stessa sicurezza». Breton sta girando per gli Stati membri Ue incontrando le aziende del settore difesa.

L’Europa, dice il francese, «oggi non ha le dimensioni per soddisfare le esigenze di sicurezza dell’Ucraina e dei nostri Stati membri, ma ha certamente il potenziale per farlo. Sono fiducioso che entro dodici mesi saremo in grado di aumentare la nostra capacità produttiva a un milione di munizioni all’anno per l’Ucraina». Perché, è il messaggio, l’attuale produzione è basata su uno scenario di pace, mentre ora siamo in uno di guerra.

Il cuore della proposta è un finanziamento Ue di 500 milioni di euro. Con l’effetto leva, attraendo soldi degli Stati membri e privati, l’obiettivo è arrivare a un miliardo di euro. Risorse che serviranno a fornire sovvenzioni per aiutare l’industria europea della difesa ad aumentare la produzione. Previsto inoltre un fondo di «incremento di produzione» per favorire il reperimento di ulteriori risorse. Tra gli altri punti un meccanismo per mappare, monitorare e anticipare la presenza di strozzature nelle catene produttive della difesa, nonché un quadro temporaneo per consentire di affrontare situazioni di emergenza sul fronte della fornitura di munizioni.

Una frase di Breton ha suscitato un polverone in Italia: «I Paesi che lo vorranno potranno utilizzare i fondi del Pnrr per aumentare la produzione delle munizioni».

«Non permetteremo – ha dichiarato il leader del M5s Giuseppe Conte - che i 209 miliardi del Pnrr possano essere usati per armi e munizioni anziché per asili nido, sanità e ambiente. Quei fondi servono a far rialzare l’Italia non a fare la guerra». «Io – tuona via Twitter anche il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni - avevo capito che il Pnrr fosse il piano per risollevare i Paesi europei dal disastro della pandemia. Invece scopro che serve ad ingrassare le industrie belliche del Continente».

Il riferimento di Breton in realtà è al fatto che tra le priorità Ue che devono rispettare i piani Pnrr figurano proprio la sicurezza e la difesa. Breton peraltro ha inoltre esortato gli Stati membri, al pari della Nato, a investire almeno il 2% del Pil per la difesa, visto il mutato quadro di sicurezza dopo l’aggressione russa dell’Ucraina.

La proposta è arrivata nel giorno in cui gli ambasciatori dei Ventisette hanno finalmente trovato un’intesa sul secondo pilastro della fornitura di munizioni a Kiev, e cioè l’acquisto sul mercato, finanziato con un miliardo di euro del Fondo europeo di pace (Epf). Il primo pilastro, già ampiamente in atto, finanziato anch’esso con un miliardo di euro, prevede la fornitura di munizioni reperite nei magazzini militari degli Stati membri.

Il secondo pilastro era stato a lungo bloccato dalla richiesta pressante della Francia che gli acquisti fossero effettuati esclusivamente da imprese dell’Ue o della Norvegia (che non è nell’Ue ma è parte del mercato unico). Alla fine, il compromesso ha previsto che le imprese da cui si acquista dovranno avere sede nell’Ue o in Norvegia, ma sarà accettato che parte delle componenti non siano europee.

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