venerdì 18 agosto 2023
Anche se è avversaria del regime di Minsk, che l'ha condannata come terrorista, di Putin e contro la guerra in Ucrania, per Vilnius sarebbe «una minaccia per la sicurezza nazionale»
Olga Karatch, a sinistra, insieme alle attiviste Katya (Ucraina) e Darya (Russia) durante il tour italiano, dopo aver partecipato all'Udienza in Vaticano

Olga Karatch, a sinistra, insieme alle attiviste Katya (Ucraina) e Darya (Russia) durante il tour italiano, dopo aver partecipato all'Udienza in Vaticano - Archivio Movimento Nonviolento

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Olga Karatch, la pasionaria nonviolenta pacifista bielorussa, giornalista, politica e nemico pubblico numero uno del regime di Lukashenko, dal quale è accusata di terrorismo, ora si ritrova nel mirino anche della Lituania.

Sembra incredibile, ma è vero. Anche se è avversaria del regime di Minsk, di Putin e dell'intervento militare russo in Ucraina, per Vilnius ha un difetto, evidentemente: è bielorussa e quindi pericolosa. Come se tutti gli italiani venissero considerati mafiosi.

Infatti, Olga vive in esilio a Vilnius perché in patria l’attende una condanna a morte, ma si è vista rifiutare la domanda di asilo politico e protezione presentata un anno fa al governo della Lituania. La motivazione, incredibile, è che la Karatch rappresenterebbe “una minaccia per la sicurezza nazionale della Repubblica di Lituania”.

Evidentemente le sue posizioni contrarie alle armi e al diritto all'obiezione di coscienza danno fastidio danno fastidio non solo in Russia e Bielorussia, ma anche in Lituania, che, ricordiamo, è un Paese d'Unione Europea.

Fondatrice e leader dell’organizzazione internazionale Our House per i diritti umani, Olga Karatch, ha fatto parte dell’opposizione a Lukashenko e per questo è stata classificata come “terrorista” dal Kgb bielorusso e inserita nell’elenco dei nemici del regime.

Espatriata in Lituania, ha proseguito l’attività pacifista soprattutto a favore degli obiettori di coscienza, disertori, renitenti alla leva bielorussi, con la campagna “No significa No” contro la mobilitazione e la coscrizione militare, per sottrarre braccia e fucili all’esercito di Lukashenko, che a suo avviso si appresterebbe a preparare un secondo fronte contro l’Ucraina, a fianco della Russia di Putin.

“Questa decisione mira a screditarmi come difensora dei diritti umani – dice a caldo Olga Karatch - è un tentativo di costringermi al silenzio anche come femminista e limitare le mie attività per la pace e i diritti di chi rifiuta le armi e l’esercito”.

Consola che il provvedimento di diniego non prevede un decreto di espulsione, estradizione e rimpatrio, proprio in considerazione del fatto che in Bielorussia l’attenderebbe la pena capitale, e anzi le viene rinnovato il permesso di soggiorno in Lituania per altri due anni. In qualche modo lo standard europeo viene rispettato, ma resta il fatto politico, grave, del rifiuto di protezione ad una persona minacciata, che non ha compiuto alcun reato sul territorio del’Unione Europea.

La Campagna di Obiezione alla guerra ha espresso immediata solidarietà e ha garantito le risorse necessarie per la difesa legale e il ricorso alla Corte Suprema e se necessario alla Corte europea per i diritti umani, con il patrocinio dell’avvocato Nicola Canestrini, legale del Movimento Nonviolento, che subito si è messo a disposizione.

Olga Karatch rappresenta una figura di spicco del movimento pacifista europeo, insieme a Yurii Sheliazhenko anche lui proprio in questi giorni sotto attacco, accusato ingiustamente e falsamente di “giustificare la guerra di aggressione russa” e per questo sottoposto agli arresti domiciliari.

"La verità - spiega Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento - è che l’obiezione di coscienza, la diserzione, la renitenza alla leva, sia in Bielorussia che in Russia come in Ucraina, sono ormai un fenomeno di massa che inizia a fare paura ad entrambi i fronti. Sottrarre persone agli eserciti, rifiutare la logica della armi, opporsi alla mobilitazione militare, è la strategia della nonviolenza, che è efficace perché senza soldati che sparano, la guerra non si può fare. È necessaria ora una azione politica che punti ad un obiettivo preciso: chiediamo che l’Unione Europea e i governi nazionali (dunque anche al governo italiano) venga riconosciuto lo status di rifugiati politici a tutti quei giovani russi, bielorussi e ucraini che rifiutano di combattere e si tolgono la divisa. La via della pace passa innanzitutto dal ripudio concreto della guerra".


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