sabato 2 aprile 2016
​Tra due settimane il voto sull'estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine. Clima politico teso dopo le dimissioni del ministro Guidi, per l'inchiesta sul giacimento Tempa Rossa in Basilicata.
L'arcivescovo Santoro: no alle trivelle
Trivelle, cosa potrebbe cambiare con il referendum
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Mancano due settimane al referendum sulle trivelle e la tensione politica è alle stelle dopo le dimissioni del ministro dello Sviluppo Federica Guidi legate alla doppia inchiesta sul progetto Tempa Rossa della Total (uno dei giacimenti più grandi d'Italia) e dell'impianto Eni di Viaggiano sullo smaltimento dei rifiuti. Un un "intreccio" simbolico che scalfisce il governo ed entra in Parlamento dove le opposizioni, capitanate dal M5S, chiedono le dimissioni del ministro Boschi e di tutto il governo. La sinistra Pd incalza Renzi, colpevole di aver scelto la strada dell'astensionismo e sposa la linea degli ambientalisti che si battono per il sì. "Al referendum del 17 aprile l'astensione è la scelta sbagliata. Oggi ancora più incomprensibile. Siamo ancora in tempo. Il Pd cambi rotta" dice su twitter il leader della Sinistra Pd Roberto Speranza. Ma il governo per voce del ministro dell'Ambiente Gianluca Galletti, intervistato da Qn, spiega che con il sì ci sarebbero migliaia di posti a rischio e che bisogna "preservare l'occupazione del settore dell'oil-gas". Galletti parla di 10mila posti di lavoro a rischio e assicura che i 135 impianti offshore esistenti sono a norma dal punto di vista dell'impatto ambientale. Si dice inoltre pronto, come numerosi esponenti di Ap a partire da Alfano, a votare per il no.  Quando e su cosa si vota. Il referendum popolare sulle trivelle si terrà domenica 17 aprile in tutta Italia: sarà possibile recarsi alle urne dalle 7 alle 23. I cittadini italiani sono chiamati ad espremersi sull'attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi entro 12 miglia marine (circa 22,2 km) dalla costa: decideranno in sostanza se consentire agli impianti già estistenti di continuare la coltivazione di petrolio e metano sino all'esaurimento del giacimento, anche oltre la scadenza naturale delle concessioni. Come per tutti i referendum popolari il quorum è il 50% più uno degli aventi diritto. Le concessioni sono 35. A oggi nel nostro mare entro le 12 miglia sono presenti 35 concessioni di coltivazione di idrocarburi, di cui 3 inattive, una è in sospeso fino alla fine del 2016 (al largo delle coste abruzzesi), 5 non produttive nel 2015. Le restanti 26 concessioni, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi, sono distribuite tra mar Adriatico, mar Ionio e canale di Sicilia. Fine delle estrazioni se vince il sì.  Con il sì le società petrolifere dovranno mettere fine alle loro attività di ricerca ed estrazione secondo la scadenza fissata dalle loro concessioni, e quindi secondo la data stabilita al momento del rilascio dell’autorizzazione alle compagnie, al di là delle condizioni del giacimento. Lo stop, quindi, non sarebbe immediato, ma arriverebbe solo alla scadenza dei contratti già attivi. Il referendum avrebbe conseguenze già entro il 2018 per 21 concessioni in totale sulle 31 attive: 7 sono in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata e in Emilia-Romagna, una in Veneto e nelle Marche. Il quesito referendario riguarda anche 9 permessi di ricerca, 4 nell’alto Adriatico, 2 nell’Adriatico centrale, uno nel mare di Sicilia e uno al largo di Pantelleria. Cosa succede se vince il no o l'astensionismo. Le concessioni attualmente in essere avevano una durata di trent’anni con la possibilità di due successive proroghe, di dieci e di cinque anni che, in caso di vittoria del no, potrebbero essere concesse, prolungando così il periodo di attività delle trivellazioni. Con una modifica apportata al testo in materia dall’ultima legge di stabilità potrebbero però rimanere «per la durata di vita del giacimento». Ovviamente nel rispetto delle valutazioni di impatto ambientale che andranno in ogni caso fatte in caso di richiesta di rinnovo della concessione alle trivellazioni. Le posizioni in campo. Il referendum è stato promosso da nove regioni (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria e Molise). Il governo Renzi non ha preso ufficialmente posizione ma sembra aver scelto la linea dell'astensionismo, sollevando non pochi malumori all'interno del Pd.
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